“Odissea Warao”, il viaggio degli indigeni dal Venezuela al Brasile

Un reportage e una docu-serie per raccontare la migrazione della “gente delle canoe”, che sta lasciando le proprie comunità per scappare dalla crisi economica e sociale venezuelana. Marco Bello, co-autore insieme a Paolo Moiola: “Le comunità originarie si stanno svuotando, e all’arrivo in Brasile i diritti degli indigeni Warao spesso non sono garantiti”

“Odissea Warao”, il viaggio degli indigeni dal Venezuela al Brasile

Un viaggio dal Venezuela al Brasile, una fuga spesso drammatica per scappare una forte crisi economica e sociale, alla ricerca di una vita migliore. È “Odissea Warao”, il reportage dei giornalisti Marco Bello e Paolo Moiola, che raccontano la storia dei Warao, la “gente delle canoe”, indigeni nativi del delta dell’Orinoco, in Venezuela, che stanno lasciando le proprie comunità per rifugiarsi in Brasile. Per documentare questa migrazione, alla fine del 2019 i due giornalisti hanno percorso un pezzo di strada insieme a loro: sono passati per Boa Vista, Pacaraima, Santa Elena de Uairén e Manaus, e hanno visitato i centri che li ospitano per cercare di capire dalla loro viva voce il perché di una scelta difficile, spesso drammatica. In questa indagine sono stati aiutati dalla ong Missioni consolata, che da tempo lavora con le comunità Warao.

“Già da molti anni i Warao avevano uno stile di vita abbastanza nomade – racconta Marco Bello, co-autore del reportage –. Tradizionalmente vivono su palafitte, nutrendosi principalmente di pesca e traendo sostentamento da un particolare tipo di palma. Dal 2016 il flusso migratorio dal Venezuela ai paesi confinanti, come il Brasile e la Colombia, è aumentato incredibilmente, a causa dell’aggravarsi della crisi alimentare e sanitaria nel paese, e gli indigeni Warao non ne sono stati esclusi”.

I Warao oggi sono almeno 50mila, rappresentando la seconda etnia indigena del Venezuela. Il reportage documenta il loro viaggio, tra autobus, taxi condivisi, e le difficoltà di integrazione in un paese, il Brasile, di cui non conoscono la lingua né la cultura. “Lo stato brasiliano di Roraima, dove molti dei Warao arrivano, è fortemente indigeno e ci sono diverse popolazioni che da anni lottano per rivendicare i propri diritti – spiega Bello –. Fin da subito c’è stata un’apertura da parte degli indigeni brasiliani nei confronti dei fratelli Warao, tanto che il Consiglio indigeno di Roraima ha invitato alcuni rappresentanti Warao nella propria assemblea. Purtroppo, però, c’è stato anche un tentativo di strumentalizzazione da parte dei fazendeiros, i grandi proprietari terrieri, che hanno provato ad alimentare attriti tra le diverse popolazioni”.

Inizialmente i Warao, quando arrivavano in Brasile, vivevano per strada: ora sono stati costruiti degli “abrigos”, dei rifugi ufficiali gestiti dall’esercito brasiliano e dall’ong Fraternidad international, insieme all’Unhcr e altre organizzazioni. “Gli abrigos hanno un numero limitato di posti e al loro interno ci sono regole ferree: si può entrare e uscire solo con un apposito documento, non si può cucinare e il cibo viene distribuito – racconta Bello –. A fianco degli abrigos sorgono così campi informali, più o meno organizzati: il più grande è Ka Ubanoko, un grosso spazio autogestito a Boa Vista sorto all’interno di un vecchio club sportivo abbandonato, dove vivono 500-600 persone e dove vige un sistema indigeno fatto di comitati settoriali e un coordinamento centrale, gestito in particolare da leader donne Warao. Ora lo stato vuole sgomberare lo spazio: le persone rischiano di essere sfrattate e ricollocate altrove”.

Tra le storie incrociate proprio a Ka Ubanoko c’è quella di Leany, 30 anni, originaria di una famiglia di leader Warao, che ha fatto il viaggio fino al Brasile da sola con sua figlia e sua nipote. In Venezuela Leany faceva l’insegnante ed era animatrice di comunità, gestendo un gruppo di danza Warao. “Lei, che non avrebbe mai pensato di lasciare la comunità, a un certo punto ha deciso di migrare, anche se i suoi genitori non erano d’accordo – prosegue Bello –. Ha dovuto affrontare mille peripezie, percorrendo pezzi in autobus, altri a piedi, altri ancora con macchine collettive o taxi. Arrivata a Boa Vista, si è installata a Ka Ubanoko: oggi è diventata coordinatrice di un gruppo culturale e vice-coordinatrice dell’intero campo”.

Questa e altre storie sono state raccontate da Marco Bello e Paolo Moiola in un reportage scritto e fotografico pubblicato sulla rivista Missioni Consolata, mentre prossimamente verrà presentata anche la docu-serie “Odissea Warao”, in cinque puntate. “Il 12 ottobre, giorno della resistenza indigena, abbiamo organizzato la prima proiezione proprio a Ka Ubanoko – conclude Bello –. È stato molto emozionante. Il nostro documentario vuole raccontare lo svuotamento delle comunità d’origine, il dramma e le prospettive di un popolo che, nel momento in cui migra, ha comunque come obiettivo quello di ritornare, prima o poi, nelle proprie terre ancestrali”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)