Pianeta verde - In occasione dell’edizione 2024 del Vinitaly di Verona il settore fa i conti con i suoi punti di forza ma anche con le sue debolezze

In Europa il vino vale 130 miliardi di euro e dà lavoro a circa 3 milioni di persone

Pianeta verde - In occasione dell’edizione 2024 del Vinitaly di Verona il settore fa i conti con i suoi punti di forza ma anche con le sue debolezze

Prezioso, pressoché unico, inimitabile eppure spesso imitato, miliardario eppure alle prese con un orizzonte incerto. Il vino italiano è tutto questo e molto altro ancora. Espressione di civiltà e motore di un comparto economico di tutto rispetto. Immagine e sostanza. Che trova nel Vinitaly 2024 di Verona una delle ribalte internazionali più importanti. Occasione per un’istantanea tra costume e imprese.
Miliardi, dunque. E tanti. Stando al Ceev (il Comitato europeo delle aziende vitivinicole) in Europa il vino vale 130 miliardi di euro e dà lavoro a circa 3 milioni di persone. Coldiretti aggiunge che l’Italia può contare su 674.000 ettari di vigneto di cui 125.000 ettari coltivati in biologico, ma anche su 570 varietà autoctone, un record di biodiversità reso possibile dall’impegno di 240.000 aziende vitivinicole, con 529 vini a denominazione di origine tra Docg, Doc e Igt. Comparto importante, dunque. Anche se in sofferenza.
Certo, ancora i coltivatori fanno notare che il settore in qualche modo è diventato più forte, ma ha dovuto fare i conti “con una produzione scesa ai minimi del dopoguerra a causa degli attacchi della peronospora e le tensioni internazionali che hanno influito, seppur di poco, sull’andamento delle vendite e dei consumi”. Così, se nel mondo le vendite di etichette italiane pare stiano andando più che bene, quelle in Italia faticano. Stando ad alcune analisi (Circana per Vinitaly), complessivamente, soprattutto nella grande distribuzione, le vendite sono scese del 3,3% mentre i prezzi sono cresciuti del 2,5% circa. E di “sentiero stretto, dal quale uscire in fretta”, parlano le cooperative di settore che rappresentando una porzione importante della produzione e del giro d’affari. “Sui bilanci delle aziende – dice in una lunga nota Confcooperative sulla base anche di uno studio Censis – pesano ancora l’onda lunga dell’incremento dei costi produttivi, ai quali si sommano gli effetti inflazionistici e soprattutto l’innalzamento del costo del denaro che sta impattando pesantemente anche sulla capacità di spesa delle famiglie, un fattore che si ripercuote negativamente pure sul consumo del vino”. Crisi o passeggera? Per la cooperazione no, anzi si tratta di “una crisi strutturale, non congiunturale, con impatti differenti su prodotti e aree di produzione. A pesare sono anche i cambiamenti climatici che rendono sempre più difficile fare viticoltura”.
Eppure il vino con tutto ciò che si porta dietro rappresenta un punto di forza non solo per l’economia agroalimentare. Merito, prima di tutto, delle imprese, come dice una indagine UniCredit-Nomisma che aggiunge: “In uno scenario di consumi di vino in continuo movimento tra le diverse aree del mondo, il tema di come dare più valore alla filiera vitivinicola italiana e attraverso quali asset diventa sempre più fondamentale per garantire una continuità futura alle imprese del settore”. Come dire, è tutta una questione di produzione e di promozione ma con grande attenzione all’andamento generale dell’economia e, quindi, alla capacità di spesa dei diversi mercati. Senza dire di quanto accade nello scenario internazionale. Da questo punto di vista, basta ricordare quanto determinato da una “semplice” crisi geograficamente limitata comune quella del Mar Rosso.
Tecnica da un lato e immagine dall’altro. Vino italiano alfiere della parte migliore del Paese, che deve però fare i conti con sollecitazioni varie e importanti che spesso deve subire. Eppure, “un’Italia senza vino non conviene a nessuno: il vino è allo stesso tempo un attrattore e un generatore di valore ben oltre i perimetri del settore”, dice con ragione il presidente di Unione italiana vini (Uiv) Lamberto Frescobaldi, che aggiunge: “Per continuare a distribuire ricchezza dobbiamo pensare ad affrontare al meglio una nuova fase. L’era della crescita volumica è finita e i paradigmi di consumo stanno cambiando molto velocemente: dobbiamo essere consapevoli di ciò e traghettare le imprese verso questa nuova sfida”. Intanto, proprio l’Uiv certifica, sulla base di dati Istat, che dal 2000 al 2020 le aziende vitivinicole in Italia sono diminuite del 68%.

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Fonte: Sir