Striscia di Gaza. La popolazione allo stremo, la diplomazia ferma al palo

Striscia di Gaza In più di due settimane di conflitto, solo 37 camion hanno portato cibo e beni di prima necessità agli oltre due milioni di residenti bombardati. L’alt di Biden al cessate-il-fuoco, ma gli israeliani protestano in piazza

Striscia di Gaza. La popolazione allo stremo, la diplomazia ferma al palo

Asedici giorni dall’inizio della ritorsione contro la Striscia di Gaza, seguita ai terribili attacchi di Hamas del 7 ottobre, la morsa di Israele non accenna ad allentarsi, i bombardamenti sono all’ordine del giorno e ora la popolazione locale è alla fame. L’entrata nella Striscia di venti camion carichi di beni di prima necessità il 21 ottobre, e di altri diciassette il giorno successivo, aveva per un attimo acceso la speranza che gli oltre due milioni di persone che vivono a Gaza potessero iniziare a ricevere aiuti proporzionati alla mole di bisogni prodotta da due settimane di devastazione. Tuttavia, considerando che trentasette camion rappresentano una quantità minimale rispetto al centinaio al giorno che trasportavano beni nella Striscia prima del 7 ottobre, mantenere uno sguardo ottimista risulta difficile. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite che si trovava nel lato egiziano della città di Rafah il giorno in cui i primi container sono entrati a Gaza dopo due settimane di blocco totale, ha commentato che una linea vitale di rifornimenti continui è un’urgenza. Intanto, le condizioni dei civili nella Striscia continuano a deteriorarsi: nessun rifornimento di carburante è stato concesso, impedendo così di mantenere attivi i generatori di cui si servono gli ospedali ormai al collasso, visto il taglio delle forniture elettriche. Inoltre, gran parte della popolazione nella Striscia continua a non avere accesso a cibo e acqua. La situazione è tragica soprattutto nel Nord, area che Israele ha intimato di evacuare nel giro di ventiquattr’ore il 13 ottobre, mentre continuava a bombardare le reti stradali che i civili avrebbero dovuto percorrere per raggiungere Khan Younis e Rafah, così come non smetteva di colpire il Sud della Striscia. Sotto pressioni statunitensi il primo ministro israeliano ha formalmente accettato il 23 ottobre di garantire un «rifornimento continuo» di aiuti alla popolazione di Gaza, ma mentre veniva raggiunto questo accordo Israele intensificava i bombardamenti indiscriminati che colpivano obiettivi civili come edifici residenziali, scuole e ospedali. Le ore tra il 22 e il 23 ottobre secondo il ministero della Salute di Gaza sono infatti state quelle in cui Israele ha ucciso più palestinesi dall’inizio della rappresaglia: 436 morti, tra cui 182 bambini, nel giro di ventiquattro ore. Uno shock superato solamente dalla sconvolgente esplosione all’ospedale battista al-Ahli a Gaza City, che secondo l’esercito israeliano sarebbe stata provocata per sbaglio da un missile del Jihad islamico mentre secondo Hamas e il mondo arabo è stata chiaramente un attacco israeliano. Quel che è certo è che sono oltre cinquemila le vittime a Gaza, il 40 per cento sono bambini, e oltre un migliaio le persone disperse, ancora sepolte sotto le macerie delle proprie case e rifugi. Secondo i dati Ocha (l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) aggiornati al 20 ottobre sono almeno novemila i pazienti malati di cancro che non possono accedere alle terapie e 50 mila le donne incinte escluse dai controlli prenatali. Eppure, di fronte all’evidenza della devastazione e delle violazioni del diritto internazionale compiute da Israele, non si fa ancora cenno a seri negoziati riguardo un cessate il fuoco. Joe Biden ha chiarito la posizione in merito degli Stati Uniti – l’attore internazionale che ha in assoluto più influenza su Israele – affermando che fermare i bombardamenti israeliani è fuori discussione fino a che tutti gli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre non saranno liberati. Una posizione differente da quanto chiedono a gran voce i manifestanti in Israele, tra cui i familiari degli israeliani attualmente costretti nella Striscia. Coloro che sono scesi in piazza in Israele in tempi così difficili pretendono le dimissioni di Netanyahu e, piuttosto che l’utilizzo dei massacri di civili palestinesi in chiave “persuasiva”, negoziati immediati per la liberazione degli ostaggi, anche a costo di effettuare uno scambio con i circa 5.500 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Nel frattempo sono stati fatti progressi sul fronte del rilascio degli ostaggi: lunedì 23 ottobre Hamas ha dichiarato di aver concesso il rientro in Israele di due donne anziane, grazie alla mediazione di Qatar ed Egitto, mentre una ventunenne statunitense era stata rilasciata la settimana precedente. Sul fronte diplomatico sembra che le parti in conflitto e la comunità internazionale siano in stallo nelle trattative per il cessate il fuoco. Un’immobilità che tradisce la scarsa volontà politica di porre fine alle sofferenze dei civili. L’obiettivo dichiarato di Israele di distruggere Hamas a costo di devastare Gaza e gli oltre due milioni di esseri umani che ci vivono è presentato come “diritto a difendersi” e solo flebilmente contestato dai principali alleati occidentali di “Bibi”.

La lettera del card. Pizzaballa. «Tragedie incomprensibili: condanna senza riserve»

«La coscienza e il dovere morale mi impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel Sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per una atrocità del genere. Sì, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine». Così il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in una lettera inviata martedì 24 ottobre alla sua Diocesi. Parole che continuano: «La stessa coscienza, tuttavia, con un grande peso sul cuore – scrive il cardinale – mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve».

Oltre cinquemila le vittime e 13 mila i feriti

Continua a salire la contabilità dell’orrore. I bombardamenti sulla Striscia di Gaza hanno prodotto oltre cinquemila morti, 436 dei quali solo tra il 22 e il 23 ottobre. Il 40 per cento delle vittime sono bambine e bambini.

Save the Children, almeno duemila i bambini morti

Secondo Save The Children sono almeno un milione i bambini intrappolati nell’ambiente urbano piccolo e densamente popolato della Striscia di Gaza, sotto bombardamenti aerei continui. Almeno duemila sarebbero morti.

Preghiera e digiuno per la Terra Santa

Venerdì 27 ottobre, una giornata di preghiera, digiuno e penitenza per quanto sta avvenendo in Terra Santa. L’ha annunciata papa Francesco al termine dell’udienza generale del 18 ottobre, chiedendo che si eviti la catastrofe umanitaria.

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