Vaccini e persone fuori dal sistema: oltre 700 mila da raggiungere

Italiani e stranieri, senza documenti, non iscritti al servizio sanitario o con codici fiscali provvisori. Le Regioni hanno aperto le prenotazioni, ma gli ostacoli amministrativi restano. Geraci (Caritas): “Attivare un sistema per vaccinare questa variegata fascia di popolazione e informarla in modo corretto”

Vaccini e persone fuori dal sistema: oltre 700 mila da raggiungere

Da alcune settimane le Regioni hanno aperto le prenotazioni del vaccino anti Covid-19 alle persone irregolari, senza documenti e non iscritte al servizio sanitario. La maggior parte dà questa possibilità tramite il codice Stp (Straniero temporaneamente presente) che viene rilasciato dalle aziende sanitarie ai cittadini extra-Ue temporaneamente presenti in Italia, e dà diritto all'assistenza sanitaria. Alcune prevedono anche i codici Eni (Europeo non iscritto), Psu (Permesso di soggiorno umanitario) e la registrazione con i propri dati, in altre invece si accede solo con Spid, tessera sanitaria, codice fiscale.

La situazione è frammentata con differenze tra aziende sanitarie anche in territori contigui e mancano indicazioni a livello nazionale. “La Regione Lazio, ad esempio, ha dato indicazioni alle Asl di vaccinare tutti, ma non c'è una regia regionale ed è difficile capire come sta andando - afferma Salvatore Geraci, responsabile dell'area sanitaria della Caritas Roma e membro della Società italiana di medicina delle migrazioni – Bisognerebbe creare percorsi ordinari attraverso i portali regionali e percorsi specifici e personalizzati con l'aiuto dei servizi sociali dei Comuni, del Terzo settore e del privato sociale”.

Di quante persone stiamo parlando? Difficile quantificarle con precisione, ma si stima che siano più di 700 mila. È Geraci a ipotizzare le dimensioni del target: ci sono 500 mila migranti irregolari (stima Ismu 2020), alcune decine di migliaia di cittadini comunitari non residenti che lavorano saltuariamente e sono in condizioni di fragilità sociale, circa 55 mila persone senza dimora, oltre ai minori stranieri non accompagnati e 220 mila migranti che, nel 2020, hanno fatto domanda di regolarizzazione. “Questi ultimi potrebbero iscriversi al servizio sanitario ma hanno bisogno di un codice fiscale – spiega Geraci – L'Agenzia delle entrate ne rilascia di provvisori con 11 cifre che possono essere usati per iscriversi ma poi alcuni casi chiedono la residenza, che queste persone non hanno, altri accettano una dichiarazione di effettiva dimora, altri ancora non li iscrivono perché i sistemi informativi regionali non riconoscono i codici di 11 cifre”.

Le difficoltà per prenotarsi

Le prenotazioni si fanno dal portale della Regione o chiamando a un numero verde. “Per molte persone che rientrano in questa fascia di popolazione la telefonata può essere complessa per problemi linguistici e non tutte hanno gli strumenti per accedere al portale – spiega Alessia Mancuso di Emergency – Nei territori in cui siamo presenti con presidi sanitari le stiamo aiutando a prenotarsi, e in caso di necessità le accompagniamo a fare il vaccino”. La Lombardia, ad esempio, ha aperto l'accesso alle persone straniere senza permesso di soggiorno o non iscritte al servizio sanitario dal 25 giugno e a Milano si sono prenotate in 400 tramite Emergency. “La richiesta è alta, e ci sono datori di lavoro che non mettono in regola ma chiedono il green pass – continua Mancuso – Nei territori in cui c'è minore risposta facciamo attività di informazione sul vaccino: molti si informano su Internet ma per altri funziona il passaparola, magari attraverso un capo comunità che può essere determinante per vincere la ritrosia di alcuni a farsi vaccinare”. Emergency è presente in molte regioni come, ad esempio, in Sicilia, nel ragusano, dove sta vaccinando insieme alla Caritas le persone migranti che lavorano in agricoltura, a Castel Volturno, in Campania, con una clinica mobile in cui sta aiutando le persone a prenotarsi sul portale della Regione, così come sta facendo a Polistena, in Calabria.

Gli appelli delle associazioni

L'apertura delle Regioni è arrivata grazie alle sollecitazioni di associazioni del Terzo settore e privato sociale. Già a inizio febbraio, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) aveva dichiarato che tutte le persone presenti sul territorio italiano dovessero essere vaccinate, indipendentemente dal possesso o meno di documenti di identità, permesso di soggiorno, tessera sanitaria o codice fiscale. Emergency aveva chiesto che le categorie del piano vaccinale andassero oltre la situazione amministrativa delle persone, “invece si è partiti con le persone più fragili, per patologie o età, ma si sono esclusi i migranti irregolari, che sono gli ultimi a poter accedere – afferma Mancuso – : è un criterio errato perché tra di loro ci sono persone in età avanzata o con fragilità sociali determinate dalle loro condizioni di vita. Stiamo parlando di salute, individuale e pubblica, e sarebbe stato vantaggioso per tutti vaccinare i più fragili fin dall'inizio”. Il 4 febbraio le associazioni aderenti al Tavolo immigrazione e salute hanno scritto una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza per chiedere indicazioni per un campagna vaccinale inclusiva delle persone socialmente più fragili a cui ne è seguita un'altra il 31 maggio indirizzata al commissario straordinario Figliuolo. A parte la dichiarazione di Aifa però, “non sono state date indicazioni puntuali e precise a livello statale e non mi risulta che ci sia stata una risposta a queste lettere”, afferma Geraci.

Vaccini per chi è in strutture di accoglienza

A inizio luglio l'Istituto superiore della sanità è intervenuto sulle vaccinazioni delle persone in strutture di accoglienza (migranti, senza dimora e minori soli) “ma non ci sono state indicazioni precise su come vaccinarli e quale vaccino usare”, afferma Geraci. Da un'indagine realizzata dal Tavolo immigrazione e salute e dal Tavolo asilo e immigrazione a maggio per intercettare eventuali sacche di resistenza o perplessità tra gli ospiti delle strutture di accoglienza è emerso però che quasi il 60% degli ospiti (persone migranti e italiane senza dimora) non sono inclini alla vaccinazione anti Covid-19: il 37% non lo vuole fare e il 20% non ha un'opinione al riguardo. In una lettera inviata il 29 luglio al ministro Speranza e ai presidenti delle Regioni i Tavoli hanno sottolineato che il ritardo nell'offerta dei vaccini all'intera popolazione presente in Italia, l'ambiguità su chi, come e quando vaccinare, ha prodotto un'incertezza diffusa tra la popolazione che sta creando preoccupanti resistenze e hanno chiesto un “cambio di passo” per garantire in modo diffuso, equo e inclusivo l'offerta vaccinale e la certificazione verde. Le incertezze creano ulteriori incertezze – dice Geraci – e in questa fase non ce lo possiamo permettere. È fondamentale attivare il sistema per vaccinare questa fascia variegata della popolazione e informarla in modo corretto. Bisogna colmare questo vuoto perché il rischio è che venga colmato da fake news. Purtroppo, lo abbiamo già visto”.

Come vaccinare le persone senza dimora?

La situazione è complessa e anche se qualcosa si sta muovendo, per il momento sono esperienze a macchia di leopardo. Per Cristina Avonto, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (fio.PSD), il primo passo è avviare un percorso di recupero dell'identità. “Dare alle persone senza dimora una residenza fittizia le rende anagraficamente presenti e permette loro di recuperare la condizione di cittadino, di iscriversi al servizio sanitario e quindi di fare il vaccino – spiega Avonto – Le pratiche sono veloci e rendono la persona identificabile”. Poi servono punti vaccinali comodi, ad esempio in luoghi abituali come centri diurni, mense e dormitori, in cui possono andare senza essere stigmatizzati e dove possono trovare personale preparato a relazionarsi con la fragilità affiancato da personale sanitario. E il tipo di vaccino? L'ideale sarebbe Johnson&Johnson, ma il ministero ne raccomanda l'uso preferenziale nelle persone over60. “La dose unica sarebbe la migliore perché già agganciarli una volta è difficile, figuriamoci due – continua Avonto – ma non sempre è facile sapere se queste persone hanno patologie, spesso nemmeno loro ne sono consapevoli”. Poi c'è il tema dell'informazione che non sta aiutando ad avvicinare le persone al vaccino, “le persone migranti sono più restie, forse perché più giovani o come approccio culturale, c'è tanta confusione. È anche vero che più vacciniamo le persone intorno a loro più le aiutiamo. L'invito è a comportamenti solidali anche per aiutare la fascia di popolazione che ha più difficoltà ad accedere al vaccino”.

L'esperienza di Binario95

Dal 25 giugno, Binario95 ha iniziato a fare vaccini per le persone senza dimora in collaborazione con l'Istituto Ifo-San Gallicano. “Nel 2020 siamo partiti con test sierologici, tamponi antigenici e molecolari per le persone senza dimora e chi li assiste – spiega Alessandro Radicchi, fondatore di Binario95 e direttore dell'Osservatorio nazionale della solidarietà nelle stazioni italiane –, un servizio da cui questa fascia di popolazione era esclusa come lo era per il tema della casa. È stato un lavoro faticosissimo per cercare di coprire i buchi istituzionali e arrivare alle persone che oggi non possono avere il green pass perché non hanno la tessera sanitaria”. Binario95 è una cooperativa sociale in cui lavorano operatori sociali ed educatori, ma questo lavoro è stato fatto volontariamente grazie alle donazioni di privati, “che abbiamo dedicato a progetti di tutela delle persone fragili durante la pandemia, come Dottor Binario, e per aprire una casa di accoglienza per donne vittime di violenza”.
Binario95 continua a fare tamponi – ne sono stati fatti 6 mila finora – e ha iniziato a fare i vaccini perché, spiega Radicchi, “la struttura sanitaria non arriva alla strada e noi facciamo da tramite”. La prenotazione si può fare online oppure andando all'help center e il vaccino si fa al San Gallicano: finora ne sono stati fatti 250 a persone senza dimora e migranti con Pfizer o Johnson&Johnson, altri 300 sono già prenotati e si continua anche ad agosto. Da questa esperienza sono nate poi altre iniziative, “stiamo valutando altri tipi di test, come quello per l'epatite e l'hiv, per inserirci dove ci sono vuoti, e stiamo aggregando altre associazioni per intercettare in strada le persone che altrimenti non potremmo raggiungere. Grazie al tampone e al vaccino creiamo un rapporto relazionale e proponiamo alle persone un percorso di tutela sanitaria con controlli a uno e sei mesi dal vaccino per capire come impatta un'azione di questo tipo su una popolazione fragile”, spiega Radicchi. Le richieste non mancano. “Le persone vogliono tutelarsi da questo ulteriore dramma che potrebbe capitare loro perché poi se stanno male dove vanno? - continua Radicchi – La maggior parte poi sono stranieri non comunitari che hanno bisogno di vaccinarsi e avere la certificazione per potersi muovere. Noi ci preoccupiamo di poter andare al ristorante, loro hanno bisogno di andare a trovare la famiglia fuori dall'Italia”.

La questione green pass

La certificazione verde è obbligatoria dal 6 agosto per accedere a diversi luoghi e da settembre servirà anche per i trasporti. In che modo impatta sulle persone in condizioni di fragilità sociale e sanitaria? “In parte sta già impattando, perché ci sono servizi che già lo chiedono – afferma Avonto – ma alzare la soglia di accesso ai servizi è un enorme disagio per queste persone, può voler dire lasciarle in strada. Sono persone che non riescono a tenere i documenti e che non hanno un cellulare, ma che non possono certo fare un tampone ogni 48 ore. Ecco perché è fondamentale rendere agevole l'accesso al vaccino”. Emergency sta ancora valutando l'effettiva possibilità di accedere al portale per scaricare il green pass per tutte le categorie interessate: “In molti casi siamo riusciti a farlo senza problemi, in altri abbiamo riscontrato criticità”, dice Mancuso. La questione green pass è cruciale anche per Geraci che sottolinea le possibili difficoltà amministrative. “Molte Regioni stanno vaccinando con l'Stp, codice amministrativo nato nel 1995 per identificare le prestazioni sanitarie fatte alle persone straniere temporaneamente presenti in Italia – spiega – Ora è utilizzato come codice di tracciamento della persona, ma non era stato pensato per questa funzione e non sappiamo quali possono essere gli effetti. Non è detto, ad esempio, che una persona faccia sia la prima che la seconda dose usando questo codice perché nel frattempo può intervenire una regolarizzazione. Cosa succede in questo caso? Qualcuno sta pensando a queste problematiche amministrative?”

Laura Pasotti

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)