Venezuela: la condivisione per uscire dal deserto della crisi. L’esperienza delle “Pentole solidali”

La risposta alla fame e alla povertà dei venezuelani viene da tante parrocchie del Paese dove sono attive le “ollas solidarias” (pentole solidali), mense dove viene offerto cibo e sostegno. I primi a dare una mano sono gli stessi poveri che le frequentano che offrono quel poco che hanno, nello spirito del condividere per non lasciare indietro nessuno, come recita lo slogan della campagna di Quaresima della Chiesa venezuelana.

Venezuela: la condivisione per uscire dal deserto della crisi. L’esperienza delle “Pentole solidali”

“Compartir – no dejemos a nadie atras”, condividere per non lasciare indietro nessuno, in particolare bambini e anziani. Recita così lo slogan scelto dalla Chiesa venezuelana per questa Quaresima 2019. Quello che il Paese sudamericano sta affrontando in queste settimane è forse il ‘deserto’ più duro della sua storia recente. Il muro contro muro tra il Governo di Nicolás Maduro e l’Opposizione di Juan Guaidó, i continui black out, la mancanza quasi cronica di cibo, medicine e acqua hanno messo in ginocchio la popolazione. E all’orizzonte non si vede nessuna luce.

I bambini sono le prime vittime di questa crisi. I dati drammatici sono riportati dalla Caritas Venezuela nel Rapporto “Sfide 2019”, presentato al Sir e ad Aiuto alla Chiesa che soffre – Italia (Acs), durante una visita nel Paese sudamericano guidata dal direttore Alessandro Monteduro e dall’assistente ecclesiastico padre Martino Serrano: “110mila bambini sotto i 5 anni versano in stato di denutrizione acuta” “300mila quelli in povertà estrema. Il 53% della popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare. Un milione di famiglie versa in condizioni di povertà estrema e 2,8 milioni sono quelle cadute in povertà estrema solo nell’ultimo biennio. 800mila famiglie sono del tutto prive di acqua e 1,8 milioni la ricevono saltuariamente. Circa 2 milioni di famiglie hanno almeno un componente emigrato al suo interno. A causa delle migrazioni forzate oltre 600mila bambini venezuelani vivono senza genitori, affidati a nonni e parenti. L’inflazione ha raggiunto quota 1.698.488% ed il tasso di disoccupazione il 27%. L’operatività dei sistemi sanitario e scolastico si è ridotta rispettivamente del 60% e del 70%. Le ultime statistiche disponibili mostrano un aumento della mortalità infantile del 33% tra il 2015 e il 2016. La retribuzione minima – circa 18mila bolivares – corrisponde ad appena 5,4 dollari al mese, con un potere di acquisto di appena il 4,3% dei generi alimentari necessari ad una famiglia ogni mese. “Con un salario minimo mensile si riescono a comprare soltanto 12-15 uova” dichiara amaro il card. Baltazar Porras, presidente di Caritas Venezuela, arcivescovo di Mérida ed amministratore apostolico di Caracas.

Le “pentole solidali” e “la pasta rossa della suora”. Attraverso la promozione di mense e pasti condivisi, le cosiddette “ollas solidarias” (pentole solidali), e attraverso un accompagnamento sociale e pastorale le parrocchie venezuelane cercano di dare una risposta concreta ai bisogni dei più vulnerabili.

Lo stile è quello descritto in un grande poster che campeggia nel salone della casa della Congregazione delle sorelle dell’Immacolata, a La Guaira. Qui da più di 40 anni vive e opera suor Patrizia Andrizzi, coadiuvata da suor Marisel, di origini filippine. “Donde se ama a Dios no se olvidan a los pobres”, dove si ama Dio non si dimenticano i poveri: “è una frase di don Domenico Masi, che fondò a Rimini la nostra congregazione nel 1925” dice al Sir la religiosa in un nemmeno troppo vago accento romagnolo.

“Intorno a noi ci sono tante famiglie bisognose. Vivono in grandi palazzi costruiti negli anni dal Governo, ma non hanno gli allacci di luce e acqua. Alcuni appartamenti non hanno nemmeno i pavimenti. Ci vivono anche in 10-15 persone. Ma ancora più grave è il fatto che non hanno da mangiare. Molti bambini di questa zona sono denutriti”.

Nella loro casa le due religiose danno da mangiare ogni giorno a 50 bambini. Ogni due settimane il pasto viene offerto a un gruppo più grande. Ma tutto dipende dai black out e dall’erogazione dell’acqua. “I bambini che vengono qui nella nostra ‘olla solidaria’ dicono di andare a mangiare la pasta rossa della suora” racconta suor Patrizia. Mentre parla il salone si riempie di bambini. È un concerto di piatti che attendono di essere riempiti. Menù del giorno? “Pasta italiana al ragù di carne” la risposta pronta della religiosa. “È un piatto unico dove mettiamo insieme carboidrati e proteine. In tal modo cerchiamo di fornire ai questi piccoli un consistente apporto calorico. Cuciniamo anche brodo con verdure, lenticchie, dipende dal quello che riusciamo a reperire”. Fame e voglia di giocare rendono veloce il pasto che viene completato con una bevanda dissetante. Arriva suor Marisel con la sua chitarra e si comincia a cantare. La grande pentola è ormai vuota, suor Patrizia saluta tutti con un sorriso ma non nasconde la sua preoccupazione per il futuro: “in tanti anni che sono qui in Venezuela non ho mai visto una crisi così prolungata nel tempo. Ma andiamo avanti con speranza. Abbiamo tanti benefattori come Acs-Italia che ci aiutano”.

Una comunità affamata. Anche padre Alfredo Bustamante, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Catia La Mar, vicino Caracas ha a che fare con una comunità “affamata” e malata. Arrivato un anno e mezzo fa ha subito deciso di aprire una “olla solidaria” e una piccola farmacia sociale. Racconta la sua esperienza mentre si occupa di allestire i pasti del primo turno di distribuzione dedicato ai vecchi e ai bambini. Nelle pentole sono a cuocere 15 kg di pasta e 10 di carne. “Siamo tornati a cucinare dopo un mese che non abbiamo avuto acqua, complici anche i continui black out. Oggi abbiamo di nuovo energia elettrica e così ne abbiamo approfittato. Per i bambini abbiamo preparato anche della cioccolata come integratore”. La notizia della riapertura della “olla” ha portato nel cortile della parrocchia decine di persone che diligentemente si sono messe in fila in attesa del proprio turno. Ogni lunedì, mercoledì e venerdì vengono serviti, con l’ausilio di 25 volontari, pasti per 120 bambini e 100 adulti. “Abbiamo anche nove malati che assistiamo a domicilio”.

In passato padre Alfredo ha tentato anche di portare un piatto di pasta ai tanti venezuelani che vivono a ridosso delle discariche e che nei rifiuti cercano qualche boccone di cibo rimasto. “Ma ho dovuto desistere – spiega – per il divieto impostomi dalla polizia dopo che avevo ricevuto minacce da parte di gruppi criminali che nelle discariche portano avanti i loro loschi traffici”. La ‘olla’ di padre Alfredo, così come tante altre nel Paese, viene sostenuta dalla Chiesa venezuelana, attraverso la Caritas, e da benefattori di varie parti del mondo. Ma sono anche le stesse persone che vengono a mensa a offrire un aiuto donando alla parrocchia uno dei prodotti che trovano nel pacco dei viveri che mensilmente il Governo distribuisce.

“È una condivisione di quel poco che abbiamo che sta portando molti frutti anche spirituali e sta unendo ancora di più la comunità”.

La gente continua ad arrivare e la fila si allunga. C’è anche chi lascia il proprio nominativo alla farmacia parrocchiale per avere una medicina altrimenti impossibile da comprare. Un volontario ritira una busta con alcune scatole di medicinali. “Spesso – dice – ci riportano indietro medicine rimaste in casa dopo la morte del paziente. La speranza è che possano servire ad altri malati”.

La dignità dei poveri. Si condivide il cibo anche nella parrocchia di san Sebastiano, a La Guaira, sede del principale porto del Venezuela. Qui la crisi si percepisce anche dalle tante gru ferme, dai container accatastati e da pochissime navi in transito. Il parroco, padre Martino Vegas, mostra la chiesa piena di gente in attesa di mangiare. Regna il silenzio, i bambini giocano, i più anziani pregano. Da un portone laterale giunge un intenso odore di lenticchie. Il parroco sorride e conferma: “oggi lo chef propone pasta e lenticchie. Non è molto ma neanche poco nel Venezuela di oggi”. Anche a San Sebastiano l’ultimo black out di oltre 100 ore si è fatto sentire e per diversi giorni la cucina è rimasta chiusa.

“Dal lunedì al venerdì cuciniamo fino a 250 pasti – dice il parroco – e pensare che siamo partiti 3 anni fa con 40 persone. La crisi ha sestuplicato le presenze. Ci sono tanti disabili, giovani madri con bambini, disoccupati, anziani”. Insieme a padre Martino recitano una preghiera di ringraziamento e poi cominciano a mangiare. Una volta vuotato il piatto escono da un’uscita laterale, non prima di aver lasciato liberamente qualche bolivar in una cassetta come segno di gratitudine. “Quel poco che hanno lo donano per gli altri – spiega il parroco – è un modo per ribadire tutta la loro dignità”. “Compartir – no dejemos a nadie atras”: nel deserto del Venezuela nessuno viene lasciato indietro.

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Fonte: Sir