24 settembre, Giornata del migrante e rifugiato. Mettersi “nei panni”. Nel messaggio del papa: «Liberi di scegliere se migrare o restare»

Domenica 24 settembre è la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Nel titolo del testo papale racchiusi tre diritti fondamentali

24 settembre, Giornata del migrante e rifugiato. Mettersi “nei panni”. Nel messaggio del papa: «Liberi di scegliere se migrare o restare»

Bisognerebbe mettersi nei panni di due ragazzi senegalesi, che partono da una povertà dignitosa e scappano per realizzare i loro sogni. Mettersi nel loro cuore, nelle loro scarpe, nella loro barca, attraversare con loro la savana del Centrafrica, poi il deserto del Sahara, gli orrori della Libia, il viaggio in mare verso le coste italiane. Vedere il film di Garrone Io, Capitano premiato al festival del cinema di Venezia, con i due ragazzi senegalesi protagonisti dell’ampio e intricato spettro della tragedia africana, può risultare un benedico transfert. Sarà un pugno allo stomaco e alla coscienza, ma la compassione che sale dal di dentro e smuove la propria zona di comfort verso l’empatia, è un tributo all’umanità. Lo fa papa Francesco, con il messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebra questa domenica 24 settembre, con il titolo “Liberi di scegliere se migrare o restare”. In un’unica breve frase sono ricordati tre diritti fondamentali: il diritto alla libertà, il diritto a emigrare, e il diritto a non emigrare. Il primo diritto è sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che già nel preambolo dichiara che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Il secondo diritto a emigrare si fonda nel nostro dna. Scrive H. M. Enzenberger in un breve ma interessante testo dal titolo La grande migrazione: «Non è ancora stata chiarita con certezza l’origine dell’homo sapiens. Ma pare si sia d’accordo sul fatto che questa specie sia comparsa per la prima volta nel continente africano e che si sia sparsa per tutto il pianeta mediante una lunga catena di migrazioni caratterizzata da spinte complesse e rischiose. La sedentarietà non fa parte delle caratteristiche della nostra specie fissate per via genetica». Infine il diritto a non emigrare, che è il nucleo del messaggio del papa, è la possibilità di rimanere nella terra in cui si è nati, senza essere obbligati a emigrare per «persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria», scrive il papa. E continua: «I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune». Può essere utile a questo riguardo leggere il libro di Alex Zanotelli Lettera alla tribù bianca, dove, a chi si chiede perché gli immigrati vengono qua, si dà una spiegazione documentata su fame, guerre e disastri climatici, che sono il frutto amaro di un sistema economico, finanziario e militarizzato iniquo, e che trovano radici in Occidente dai tempi della colonizzazione, continuando oggi in analoga maniera, come le parole del papa ricordano. È un “dietro le quinte” di cui pochi tengono conto, mentre la scena viene occupata dalla politica e dallo “spettacolo” tragico portato in casa dalla televisione, fatto di sbarchi, navi sfasciate, persone annegate, salvataggi rocamboleschi. Una cronaca tragica e continua che potrebbe scuotere le coscienze e che invece spinge all’assuefazione.

Le migliaia di vittime sono un grido che dovrebbe far riflettere. Invece sono trascorsi cinquant’anni da quando ci si è accorti che in Italia l’immigrazione non era fenomeno passeggero, ma stabile (perché è il 1973 l’anno ufficiale in cui l’Italia è diventata anche Paese di immigrazione), e si ha l’impressione di essere alla prima ora, tanto si tratta l’immigrazione con argomenti primitivi, da chiacchiera, messi nel mediocre calderone della sicurezza. A parlare di immigrazione come risorsa sono più che altro demografi ed economisti, in ragione del provvidenziale bilanciamento che l’immigrazione fornisce a un’Italia che invecchia e che fa sempre meno figli, mentre la nostra stessa storia di emigrazione e i valori di una cultura che si fonda sulla classicità e sul cristianesimo faticano a farsi strada e a immettere nel tessuto sociale una considerazione positiva nei riguardi di persone di diversa cultura presenti in mezzo a noi. Nell’incontro con chi fa parte del territorio italiano, nonostante sia penalizzato da una legge stantia sulla cittadinanza e da diritti negati; nell’incontro con chi arriva in maniera regolare o irregolare, rimane un’efficace indicazione della Chiesa italiana in un documento datato 1991: «Le condizioni storiche e sociali in cui viviamo esigono che dalla cultura dell’indifferenza si passi alla cultura della differenza e da questa alla convivialità delle differenze».

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