Giovani di Padova. dopo il Sinodo, dopo Roma, quale futuro per la pastorale giovanile?

Dopo il Sinodo diocesano, dopo le giornate di Roma, da dove far ripartire una ordinaria pastorale giovanile? Forse, dagli adulti: perché sappiano essere loro accanto con lo stile e le attenzioni dei veri educatori.

Giovani di Padova. dopo il Sinodo, dopo Roma, quale futuro per la pastorale giovanile?

Da dove riparte la pastorale giovanile quest’anno? Dai 5.000 giovani coinvolti nel Sinodo diocesano, dai 500 padovani presenti a Roma l’11-12 agosto, oppure da dove? Non so se abbia più impressionato il numero di giovani protagonisti del percorso diocesano di confronto ed “elaborazione pastorale” o di quelli dell’evento che ha visto ragazzi da ogni parte d'Italia camminare per giorni sotto il sole cocente, tra stanchezza e sacrificio, e arrivare #PerMilleStrade fino a Roma.

Forse pregare, urlare, cantare di fronte a papa Francesco #SiamoQui e colorare il Circo Massimo di mille sensazioni diverse può essere più “semplice” che lavorare un anno e confrontarsi su temi alti, però mi piace vedere entrambe le esperienze unite da un’unica chiamata. Certamente tutti questi giovani – quelli che, con le gambe e con la mente, si giocano nei percorsi di chiesa – reclamano uno stesso ascolto, perché il mondo si accorga che esistono sogni che meritano di essere realizzati e non calpestati, speranze che si vorrebbero attuate. Sono loro, giovani che sono… come sono, a ripetere nuovamente “Sono sempre i sogni a fare la realtà”.

Ragazze e ragazzi che hanno davvero tanto da dare: basta rendersene conto incontrandoli e frequentandoli, basta trascorrere qualche ora insieme per scoprire la profondità dietro i sorrisi altalenanti e quell’entusiasmo irrequieto, dentro quella curiosità malinconica, quel desiderio di diventare grandi, anche affrontando strade nuove (e forse impensabili per noi adulti) per costruire la propria personalità passo dopo passo, senza sentirsi sminuiti, scoraggiati, ingannati.

La nostra chiesa lo sa ed è tempo per tutti, pastori e laici, genitori e catechisti, di fare autocritica, di metterci seriamente in discussione per rispondere a quegli interrogativi teneri e provocatori, vivi e forti che nascono da questa giovinezza figlia del tempo in cui abitiamo. Penso, per esempio, ai temi – in ogni epoca caldi ma oggi “trasformati” – della corporeità, dell’affettività e della sessualità.

A noi adulti non occorrono brevetti particolari, né esistono manuali pensati ad arte. Servirebbe – servirà, pena l’insignificanza – una sensibilità nuova, un’attenzione più disponibile, un occhio buono, come quello del Dio creatore nel primo capitolo della Genesi: per vedere il bene più e prima del male, il positivo prima del mancante, la persona in carne e ossa! Se nella società i giovani sono “periferia”, simbolo di quotidianità pulsante e urgente, bisognerà incontrarli lì nel loro mondo: senza timore di vedute, odori, rumori propri delle periferie, terre di incontri-scontri sempre nuovi e stimolanti.

Da dove riparte la pastorale giovanile allora? Da adulti veri educatori, con lo sguardo libero e liberante di Dio sui giovani. Liberati da schemi, anche religiosi, ormai sorpassati e «da paradigmi educativi non più adeguati, centrati su progetti di vita o modelli ideali distanti e in grado di illuminare il soggetto solo dall’esterno mostrandone i limiti e non l’essenza» (Fabrizio Carletti). Educatori che sanno mettere in gioco la propria vulnerabilità nell’accompagnare i giovani con pazienza e umiltà, disponibili a guardare avanti insieme, sapendo riconoscere i frutti della grazia ricevuta e tutti i doni che gratuitamente possono condividere, nella semplicità quotidiana che è vera maestra di vita.

Ciascuno, attraverso i propri carismi e talenti, a casa, a scuola, nell’università, nel luogo di lavoro, in parrocchia, può farsi educatore “prossimo ai giovani” e tirar fuori da loro il meglio (possibile) per rendere il domani migliore. E dire – con la vita prima che con le parole – che le mezze misure non fanno per un discepolo di Gesù e che un cristiano non può vivere a metà: siamo chiamati a essere felici, e per esserlo bisogna usare l’intelligenza del cuore. E testimoniare che compiere scelte, anche le più trancianti, è faticoso, a volte doloroso ma necessario e salvifico; che assumersi impegni seri, responsabilità prive di riserve, in qualsiasi campo, è ciò che dà senso al nostro esistere. Questo significa accompagnare con qualità educativa, con prospettiva di futuro. Certo, se a Padova si ripartisse con tutti quei 5.000 giovani…

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