I nostri nomi, che non sono scritti soltanto sulla terra
L'arcivescovo di Modena e Carpi ad Avvenire spiega che "perché sia davvero commemorazione, e non solo intimistico ricordo, la preghiera per i defunti va estesa anche ai nomi scartati, cancellati o mai registrati, di cui solo Dio ha memoria".
«I vostri nomi sono scritti nei cieli» (cf. Luca 10,2): è una parola di Gesù che sembra fuori dal mondo, ed è effettivamente un’audace incursione oltre il perimetro della storia umana. Ma come si può osare, nel 2023, di sbirciare sopra le cose terrene? L’orizzonte della vita si è così abbassato che tutti avvertiamo sulle nostre spalle il peso delle guerre, con atrocità assurde, incluse – è difficile perfino scriverlo – le decapitazioni dei bambini. Siamo sempre più ricurvi, come dei piccoli Atlante gravati dalle crisi planetarie che il web contribuisce a ingigantire ma non certo a creare.
Noi però, a differenza del re mitologico costretto a portare il peso della volta celeste, rischiamo di soccombere sotto la sola massa terrestre, sempre più simile a quella «aiuola che ci fa tanto feroci» scorta dal Poeta (Par. XXII,151). Dante vede il nostro pianeta ferito dall’alto; ma noi da dentro, purtroppo, confermiamo le sue parole: la terra è scossa da violenze, ingiustizie, inquinamento, malattie. Le crisi degli ultimi decenni fanno pensare che la scomparsa del genere umano, immaginata nel leopardiano Dialogo di un folletto e di uno gnomo, non sia un mero esercizio poetico. Le armi atomiche sono l’inquietante simbolo di un potere autodistruttore mai posseduto prima dall’umanità.
Davvero la fede nel regno dei cieli può apparire ingenua e pericolosa; ad essa infatti Zarathustra-Nietzsche oppone il regno della terra, definendo «avvelenatori» coloro che parlano di speranze ultraterrene. Un monito che non va preso sottogamba. L’annuncio della vita eterna deve innestarsi nella trama quotidiana della vita terrena, pena il rifiuto e l’insignificanza. Ma non può innestarvisi aspettando semplicemente il cadavere al varco: siccome prima o poi tutti – come l’Innominato abbruttito dal potere, o Mazzarò inebriato dalla roba – vanno a sbattere contro il muro della morte incombente, tanto vale prendere la gente per fame… No, la fede nel Dio della vita – lo diceva Bonhoeffer – non deve nascere come analgesico contro i mali e la paura della morte, ma sgorgare dal cuore della vita stessa.
Se i nostri nomi sono scritti nei cieli è proprio perché la terra ne riconosca il valore e non riesca a travolgerli per sempre. Se i nostri nomi fossero scritti solo sulla terra non ci sarebbe memoria durevole se non per i grandi, i potenti e gli eroi, i cui nomi sono incisi nei libri e sulle lapidi. Ma l’immensa schiera dei semplici, dei dimenticati e calpestati, compresi gli invisibili che non hanno mai potuto trasferire i loro nomi su qualche registro terreno, nemmeno sull’anagrafe comunale o parrocchiale, dove sarebbero finiti?
“Commemorare” i defunti, per chi crede nel Dio della vita, non è semplicemente “rammentare” i propri cari, richiamarli alla mente; e nemmeno solo “ricordare” i propri cari, reinserirli nel cuore. Commemorare significa sollecitare la “memoria” di Dio, nel cui infinito registro i nomi di tutti, anche degli invisibili, sono scritti con inchiostro indelebile. Entrando umilmente con la preghiera in quell’inesauribile archivio che è la memoria di Dio noi possiamo com-memorare, fare “memoria con” Lui di tutti gli esseri umani; perché solo in Lui, “il Dio dei viventi”, nessuno è morto e tutti vivono (cf. Mt 22,32).
La preghiera per i defunti è un gesto “memoriale” sempre, ma specialmente quando prende forma liturgica. Nella preghiera eucaristica è particolarmente evidente: la morte non spazza via i nomi ma li sposta di qualche riga; quelli che chiamiamo “vivi” sono commemorati là dove si nominano il Papa, il vescovo, i presbìteri, i diaconi e tutto il popolo di Dio; quelli che chiamiamo “morti” scivolano poco più avanti e sono commemorati là dove si nominano i fedeli defunti, insieme a tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Per chi crede, la morte non è oblio ma ingresso nel Cristo risorto; non recide dunque i vincoli ma li ridefinisce; il mistero della “comunione dei santi” lega la Chiesa pellegrina a quella in via di purificazione e a tutti i salvati.
Perché sia davvero commemorazione, e non solo intimistico ricordo, la preghiera per i defunti va estesa anche ai nomi scartati, cancellati o mai registrati, di cui solo Dio ha memoria. Ce ne sono anche vicino a noi, come i nostri simili spuntati alla vita nel grembo e mai accolti alla luce, o quelli avvicinatisi alle nostre coste nei barconi e lasciati soccombere in mare. E anche semplicemente “L’eterno riposo”, bisbigliato tra una tomba e l’altra, pensando a tutti, esercita alla cura di tutti, davvero di tutti.
Erio Castellucci