In Veneto 9 mila e 200 capannoni industriali vuoti, dismessi e sfitti. Il rimbombo del vuoto

In Veneto ci sono 9.200 “buchi neri”, ex capannoni industriali dismessi e sfitti, figli di un’espansione economica e speculativa le cui carcasse pesano oggi sulla Regione. Non facili da riconvertire, c’è chi propone di utilizzarli come tetti per gli impianti fotovoltaici

In Veneto 9 mila e 200 capannoni industriali vuoti, dismessi e sfitti. Il rimbombo del vuoto

Un viaggio in treno o in auto attraverso il territorio veneto dà spesso modo di notare la scarsità di aree non occupate da capannoni, fabbricati artigianali, costruzioni industriali. Un’impressione che vede la sua conferma nell’ultimo studio commissionato dalla Confartigianato e realizzato da Smart Land, che ha rilevato che il Veneto si aggiudica un non troppo esemplare primato per superfici di edifici pro capite, con 147 metri quadrati ad abitante (a fronte di una media nazionale di 90 metri quadrati); un capannone su dieci è inutilizzato, per un totale di 9.200 “buchi neri”, generati da una fase di espansione speculativa che ha segnato profondamente la nostra Regione. Solo nella provincia di Padova i capannoni inutilizzati sono 1.663 e se fossero riqualificati, potrebbero creare una produzione economica di oltre 1 miliardo di euro. Ma 680 risultano difficilmente recuperabili, dal momento che si trovano al di fuori delle aree produttive. Vicenza, invece, è la provincia veneta con il maggior numero di unità produttive inutilizzate, pari a 1.851 (20,1 per cento del dismesso regionale), ma rappresenta comunque la quota più bassa rispetto ai capannoni provinciali esistenti, pari all’8,4 per cento dello stock catastale provinciale, contro una media regionale del 9,4 per cento. E rispetto al 2016, ultimo studio analogo condotto da Smart Land, Vicenza registra una diminuzione delle unità produttive dismesse, pari a meno 15,5 per cento, mentre a livello regionale la contrazione è del meno 13,2 per cento. Il vicentino ha saputo recuperare più spazi produttivi “abbandonati”. Vuoi anche perché, dopo un periodo di stagnazione, il mercato di questi immobili è ripreso, e negli ultimi sei anni i capannoni in disuso sono calati del 10,1 per cento con il riutilizzo di 171 edifici: «In base alle stime fatte sui 19 Comuni campione presi in esame, abbiamo visto che in alcuni casi i capannoni sono stati riutilizzati così come sono, perché rivelatisi adatti alle condizioni di uso dell’azienda – analizza Federico Della Puppa di Smart Land – In altri casi, anche se più rari, iniziano a essere effettuate demolizioni per poi costruire degli stabili più adeguati alle esigenze delle aziende; in altri casi ancora si sono avuti dei frazionamenti, quindi il capannone di una dimensione considerevole è stato suddiviso per creare spazi più piccoli rispetto a quello che è il capannone standard da 2 mila metri quadrati. Il problema rimane il riuso per il settore logistico, che necessita di spazi più grandi: anche se quello è il comparto che oggi è in maggiore sviluppo, non riesce a trovare risposta nelle vecchie strutture, anche quelle che erano state pensate per la logistica, ma di trent’anni fa».

Le sole demolizioni dei capannoni inutilizzabili e la conseguente rinaturalizzazione e rimboschimento del territorio “liberato” rimangono ancora soluzioni residuali: «I casi in questo senso sono ancora pochi – prosegue Della Puppa – La Regione sta dando dei contributi per incentivarle, ma siamo in una fase iniziale, c’è ancora da capire effettivamente la potenzialità dello strumento. Ricordo un caso esemplare in questo senso nella Pedemontana, nel Comune di Follina, dove sono stati demoliti due terzi di un capannone di 20 mila metri quadri. I settemila metri quadri sono stati riqualificati e, una volta terminate le demolizioni, il resto del terreno sarà reso area verde, dato che l’azienda che l’ha acquistato ha necessità di avere non solo una sede logistica e distributiva, ma anche un luogo in cui esporre i propri prodotti e avere un ritorno di immagine».

Un altro possibile uso dei capannoni dismessi ha a che fare con un tema particolarmente sentito in questi ultimi tempi ed è quello dell’efficientamento energetico. L’eventuale installazione del fotovoltaico sui tetti di tutti i capannoni della provincia di Padova permetterebbe di coprire l’84,5 per cento del fabbisogno energetico delle aziende padovane: «C’è tuttavia un po’ di rammarico perché non vediamo la volontà di arrivare all’autosufficienza energetica nel più breve tempo possibile – sono le parole di Gianluca Dall’Aglio, presidente di Confartigianato Imprese Padova – Non ci sono incentivi per riutilizzare le aree dismesse, a oggi non hanno scopo di esistere. E c’è dell’altro, perché i proprietari di questi capannoni continuano a versare le quote di Imu e Tari (salvo non essere edifici pericolanti) nelle casse dei Comuni che, evidentemente, non hanno tutto questo interesse nell’abbattere. È un controsenso se poi vediamo programmi che spingono sulle rinnovabili; così punteremmo sull’autoconsumo, ma questo si collega con le Comunità energetiche rinnovabili: finché non arrivano i decreti attuativi e finché non si diffonde il fotovoltaico è e sarà un tema senza seguito».

Il picco negativo di capannoni abbandonati si è avuto nella fase post-crisi del 2008, una delle cause più impattanti sull’alto numero a livello regionale. Ma non la sola: tra le altre anche speculazioni legate ad agevolazioni fiscali. «I decreti Tremonti 1 e Tremonti 2 hanno permesso negli anni Novanta di reimpiegare gli utili aziendali per costruire capannoni – ricorda ancora Della Puppa – Per questo furono fatti investimenti anche in assenza di utilizzazione in un momento espansivo dell’economia. Chi li aveva costruiti pensava che un giorno avrebbe avuto un ritorno da quegli investimenti, ma quelle tipologie di fabbricati oggi valgono sostanzialmente zero. Questo è un tema difficilissimo da far passare agli imprenditori, i quali pensano che, avendo realizzato una cubatura, quella abbia un valore indipendentemente dal mercato: in realtà è più simile a un’automobile a fine vita, per la quale bisogna pagare anche per la rottamazione. A livello regionale, abbiamo stimato che ben quattro capannoni su dieci rimarranno difficilmente riutilizzabili per la loro scarsa attrattività, mentre un capannone su cinque di questo patrimonio non avrà altra prospettiva che la demolizione».

Nonostante tutto, rispetto al 2016 si rileva in Veneto un incremento dello stock catastale produttivo del 5,3 per cento, pari a 4.917 unità, per un totale di 97.130 unità produttive immobiliari a livello regionale nel 2021. Ma Federico Della Puppa insiste: «Il problema rimane la difficoltà di riuso di ciò che è inutilizzato e abbandonato per le nuove attività produttive, che non è adeguato alle nuove esigenze: capannoni vecchi, in condizioni di manutenzione non adeguata, poco attrattivi dal punto di vista logistico, che quindi sono totalmente inadatti per le imprese. Ormai il cambiamento del sistema produttivo e delle filiere necessita di strutture di un certo tipo, localizzate in ambiti ad alta accessibilità da adibire a nodi logistici. Tuttavia, ritengo che la tendenza nei prossimi anni sarà di una diminuzione dei capannoni vuoti e che si andrà nella direzione di un maggior riuso, se si troveranno dei sistemi di riutilizzazione adeguati e saranno varati incentivi a livello fiscale».

Potenzialmente un mercato da 1,37 miliardi di euro
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Gli investimenti attivabili a seguito degli interventi di demolizione/ recupero del patrimonio produttivo inutilizzato in provincia di Padova, secondo le stime effettuate da Smart Land, ammontano a 1,37 miliardi di euro dei quali: 25 milioni di euro da demolizione; 17 milioni di euro da rinaturalizzazione/rimboschimento; 259 milioni di euro da ricostruzione a destinazione produttiva; 632 milioni di euro da ricostruzione a destinazione non produttiva; 145 milioni di euro da ristrutturazione a fini produttivi; 166 milioni di euro da adeguamento per usi temporanei; 124 milioni di euro da efficientamento energetico di tutto il comparto (escluse le superfici da demolire e destinate a rinaturalizzazione). A livello regionale, i capannoni dismessi nel 2023 sono diminuiti rispetto al 2016: si parla di 9.200 unità contro le 10.600 precedenti.

La provincia di Padova maglia nera in consumo di suolo

«Il recupero di capannoni dismessi è una buona notizia ma certo non sufficiente, tenuto conto del fatto che Padova è la provincia con l’incidenza più elevata di consumo del suolo» spiega Gianluca Dall’Aglio, presidente di Confartigianato Imprese di Padova. Il consumo del suolo totale nella provincia di Padova è del 18,7 per cento. La media nazionale è del 7,1 per cento, quella veneta è del 11,9 per cento. E nel territorio padovano si rileva l’incidenza più elevata di superficie produttiva/commerciale sul totale della superficie provinciale: 3,0 per cento (6.358 ettari). In media, ci sono 1,8 unità produttive inutilizzate ogni mille residenti, dieci ogni cento imprese. I fabbricati registrati al catasto come immobili produttivi o commerciali sono in provincia 17.842. Dal 2012, la superficie produttiva veneta si è ampliata di 2.291 ettari. Di questi, 431 interessano l’area padovana. Si tratta del 7,3 per cento.

Le azioni della Regione. Bonificare per poi ricostruire

L a Regione Veneto sta agendo dal 2017 sul piano normativo per porre un freno al consumo di suolo, introducendo inoltre misure finalizzate a incentivare la demolizione di manufatti e opere incongrue, che hanno oramai concluso il loro ciclo vita e versano in condizioni di degrado edilizio o urbanistico. Uno degli strumenti più innovativi introdotti nel 2019 dalla legge regionale “Veneto 2050” per incentivare la demolizione di questi manufatti degradati e rinaturalizzare il suolo è rappresentato dai Crediti edilizi da rinaturalizzazione: «I Cer rappresentano una capacità edificatoria, riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale, derivante solo a seguito della demolizione integrale di un “manufatto incongruo” e alla rinaturalizzazione del suolo – spiega l’assessore al Territorio della Regione Veneto Cristiano Corazzari – Per incentivare i Comuni a dotarsi della variante urbanistica di adeguamento alla disciplina regionale sui Cer, la Giunta regionale ha approvato il bando per l’assegnazione di contributi ai Comuni, per la somma complessiva di 200 mila euro per l’anno 2021 e 144 mila euro per l’anno 2022. Complessivamente, nel corso del biennio 2021-2022, è stato concesso un contributo di 4 mila euro a 35 Comuni con popolazione pari o superiore ai 5 mila abitanti e 51 Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti. La rilevazione del 2016 e quella aggiornata del 2022 evidenziano che, non solo i vari incentivi statali, ma anche la norma regionale hanno determinato in questo ambito un trend positivo». La Regione, inoltre, è in fase di dialogo e confronto con gli stakeholder interni ed esterni all’amministrazione regionale su un Testo unico delle leggi regionali in materia urbanistica: il testo semplificherà la lettura delle varie normative regionali, a oggi oltre 230 articoli, riconducendoli a poco più di 125. «Si tratta di un importante lavoro di riordino, ricognizione e coordinamento della legislazione esistente, a partire dalla riforma urbanistica regionale del 2004, che prende in considerazione tutta la copiosa attività normativa vigente, fino ad arrivare alle più recenti disposizioni sul consumo del suolo e sulla rigenerazione urbana – sottolinea Corazzari – La partecipazione da parte degli operatori di settore, attraverso la presentazione di osservazioni e contributi, è stata sollecitata con alcuni primi incontri sul territorio che si sono conclusi a fine luglio. Se necessario potranno essere replicati per permettere una maggiore comprensione della natura del testo, che, lo ribadisco, è semplificativo di norme regionali vigenti. Questa Amministrazione ha scelto di presentare un testo elaborato come base di confronto in una disciplina che tocca la vita di tutti noi veneti, ritenendo che le politiche per il territorio siano centrali per conseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile».

Oltre 18 milioni di mq di spazio inutilizzato

L’analisi ha permesso di stimare 18,15 milioni di metri quadri di superfici produttive inutilizzate in Veneto. Confrontando il dato al 2016 si rileva una diminuzione del 16 per cento.

Quando anche l’occhio vuole la sua parte

Le piccole attività artigianali o industriali hanno bisogno di spazi con particolari caratteristiche, anche di immagine: «Per esempio – aggiunge Federico Della Puppa – abbiamo visto casi di riuso in cui si è riusciti a mascherare l’aspetto precedente del capannone, posizionando delle nuove pareti o realizzando dei trompe-l’œil (tecnica pittoria che “inganna l’occhio con l’illusione di forme e dipinti, ndr) sostanzialmente delle strutture che mascherano la struttura precedente trasmettendo un’immagine dell’azienda esteticamente migliore».

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Fonte: Sir