L’errore sia visto come crescita. Giustizia riparativa e sportiva. Scrive Lucia Caburlotto, nuova presidente CSI Padova

In queste settimane, le cronache locali hanno riportato episodi che feriscono chi crede nello sport come strumento educativo.

L’errore sia visto come crescita. Giustizia riparativa e sportiva. Scrive Lucia Caburlotto, nuova presidente CSI Padova

Giovani che aggrediscono arbitri, genitori che insultano dalle tribune: scene che non appartengono al vero spirito sportivo e che ci interrogano profondamente come dirigenti, educatori e genitori. Mi chiedo: come siamo arrivati a questo punto? Perché un ragazzo, che dovrebbe trovare nello sport gioia e crescita, arriva ad aggredire un arbitro? Perché un genitore si trasforma nel peggiore dei tifosi? La riflessione più dolorosa riguarda gli arbitri, spesso giovanissimi. Sui nostri campi assistiamo a situazioni veramente imbarazzanti. Insulti continui che disincentivano l’impegno di questi ragazzi. Chi vorrebbe intraprendere la carriera arbitrale sapendo che dovrà subire offese come “imbecille”, “incompetente” o altre irripetibili? Consideriamo che chi inizia ad arbitrare è adolescente, proprio come chi gioca. L’atteggiamento irrispettoso crea difficoltà emotiva nei giovani arbitri, già alle prese con l’inesperienza. Non sorprende che molti abbandonino. Eppure, senza l’arbitro non si gioca. Dobbiamo ripensare al nostro sistema sanzionatorio. Le tradizionali squalifiche sembrano inadeguate per atleti così giovani, che necessitano più di educazione che di punizione. È tempo di introdurre forme di giustizia riparativa anche nello sport, una giustizia che consenta quella riflessione che la velocità dello sport non consente, che dia modo di dare una forma diversa alle proprie emozioni, soprattutto alla rabbia. Il “cartellino azzurro”, introdotto da alcuni anni dal Csi, rappresenta un primo passo: un’espulsione temporanea che invita l’atleta, con una pausa di riflessione in panchina, ma non fuori dal campo di gioco, a comprendere il proprio errore, non solo a pagarne le conseguenze. Questa innovazione potrebbe essere estesa anche ad altre discipline, creando un modello educativo coerente in tutti gli sport. Noi del Csi Padova crediamo che lo sport debba essere un’esperienza educativa. Nelle nostre 178 società affiliate e tra i 12 mila tesserati promuoviamo valori come rispetto e lealtà. Ma non basta. Forse abbiamo perso di vista l’essenziale: lo sport non è solo competizione, ma crescita umana. Quando un genitore insulta un arbitro, sta insegnando a suo figlio che vincere è più importante del rispetto. Quando tolleriamo comportamenti aggressivi, comunichiamo che l’avversario è un nemico, non un compagno di gioco. Come dirigenti, dobbiamo creare ambienti dove i ragazzi possano sbagliare senza paura, dove l’errore sia opportunità di crescita. Dobbiamo formare allenatori che siano prima educatori e poi tecnici. Dobbiamo coinvolgere i genitori, aiutandoli a comprendere che il successo dei figli non si misura in vittorie ma in valori. Come genitori, chiediamoci quale esempio stiamo dando. I nostri figli ci guardano, ci imitano. Se reagiamo con rabbia a una decisione arbitrale, insegniamo che la violenza verbale è accettabile. Il nostro comportamento a bordo campo plasma quello che i giovani considereranno normale domani. Lo sport che vogliamo è quello che fa crescere persone migliori. È quello che insegna a rialzarsi dopo una caduta, a rispettare l’avversario nella sconfitta, a gioire senza umiliare. È quello che forma cittadini, non solo atleti. Il Csi Padova rilancia questi valori. Intensifichiamo gli incontri formativi con società, allenatori e genitori. Promuoviamo iniziative contro la violenza nei campi di gioco. Ma il cambiamento può avvenire solo se ciascuno fa la propria parte. Se, prima di urlare contro un arbitro, pensiamo al ragazzo sotto quella divisa. Se ricordiamo che i giovani stanno imparando, non solo a giocare, ma a vivere. Lo sport genuino è possibile. Facciamolo insieme.

Lucia Caburlotto
Presidente del Csi Padova

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