La mia vita, i miei tre esodi. Il racconto di Italia Giacca, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

Penso che ognuno di noi abbia una specie di archivio della memoria, in cui ci sono ben in evidenza fatti, eventi, giorni che non si dimenticheranno mai.

La mia vita, i miei tre esodi. Il racconto di Italia Giacca, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

Per me un giorno da non dimenticare è il 28 giugno 1948. Avevo da poco compiuto sei anni, ero nata e vivevo a Stridone, piccolo borgo dell’Istria interna, quattro case e un santo lo si può definire, proprio perché, secondo la tradizione ha dato i natali a San Girolamo, dottore della Chiesa. C’era la mamma, una sorella maggiore e il nonno paterno; il papà no, era a Trieste. Lui che amava la sua terra, le sue piante come fossero creature sue, la sua casa...come mai non era a Stridone? Un interrogativo cui quella piccola non sapeva rispondere e non si capacitava del perché... l’avrei capito più in là con gli anni.

Papà non era un fanatico politico, non era neppure iscritto al partito fascista; si era però da sempre dichiarato italiano, anzi italianissimo (tanto da metter nome Italia alla figlia) ed era un “benestante”: due elementi che, secondo i canoni del maresciallo Tito che aveva preso i poteri nell’Istria, lo rendevano “nemico del popolo” e quindi era “candidato” alla foiba. Più volte i partigiani titini erano arrivati in modo arrogante in casa a cercarlo, rovistando ovunque, e, non trovandolo, se ne andavano arrabbiati e minacciosi. Quindi la decisione della mamma di abbandonare il paese e raggiungerlo a Trieste. Il nonno “sono troppo vecchio, vi sarei di peso, ho qui la casa e la terra, voglio morire dove son nato” decise di rimanere.

Ecco perché ricordo quel giorno, il 28 giugno 1948, con forte commozione, perché il nonno singhiozzando mi strinse tra le braccia dicendo “povero mi, non ti vedrò più”, ed io, con la spontaneità dei bimbi capaci di sdrammatizzare anche in momenti difficili dissi “ma sì nonno, io torno, vedrai”. Nonostante siano passati tanti tanti anni, quell’abbraccio lo sento ancora. E questo è stato il mio esodo, il primo, forse sottovalutato, perché si pensa che i bambini siano flessibili, si adattino con spontaneità e semplicità: sì, è così, ma solo in superficie, perché in realtà io porto sempre con me quel passaggio che ha cambiato la mia vita... Con sincerità dico che mi sono trovata bene ovunque sia andata, a Trieste prima, poi a Dolo, quindi a Piove di Sacco, dal 2000 a Padova, accolta e benvoluta ma è ben vero che il cuore batte là dove sei nato. Ed è un’emozione che mi accompagna ogniqualvolta mi reco a Stridone. A Trieste, dove siamo ospitati da una cugina di papà, ho iniziato la scuola, sono stata accolta bene, eppure mi sentivo diversa, ero profuga, esule, non ero come gli altri, pur senza sapermi spiegare il perché, c’era questa osservazione di fondo.

Quando poi la mia età si è avvicinata a quella che avevano i miei genitori quando hanno lasciato il paese, la casa, parte della famiglia, le amicizie, ho meditato a lungo del loro sacrificio, della rinuncia che avevano fatto di lasciare delle certezze per andare incontro all’incognito ...e qui mi pare di aver vissuto, anzi di vivere tuttora il secondo esodo. Anche perché questo l’hanno fatto spinti da forti valori, da ideali di pace, di poter offrire a noi figlie un futuro di libertà e democrazia. E mi ha fatto capire che nella vita ogni difficoltà, ogni ostacolo si può superare quando si abbiano valori di base, obiettivi cui tendere.

Passano gli anni divento nonna... il giorno che mia nipote Anna compie sei anni ho come una folgorazione: mentre osservo questa bimba che sprizza gioia e che festosa mi abbraccia... quasi vengo sommersa dall’immagine di quella bimba di sei anni, che il nonno singhiozzando stringeva a sé e con un fremito penso “io sto male se non vedo questa mia piccola per due, tre giorni; come ha fatto mio nonno a sopportare quel distacco!” E qui ho vissuto, sto vivendo anche ora che scrivo, il mio terzo esodo, il mio terzo dolore da esule. Quanta sofferenza ha provocato quello che viene chiamato Trattato di Pace del 10 febbraio 1947, che in realtà sarebbe più corretto definire Diktat! Ha sottratto all’Italia l’Istria, Fiume, la Dalmazia terre romane prima, veneziane poi, italiane per la maggior parte, dove comunque si conviveva anche con etnie e religioni diverse, ma con reciproco rispetto. Ha frantumato una comunità, ha sconvolto un popolo, ha provocato sofferenze e patimenti in tutti, sia in chi è andato via, sia in chi è rimasto: due facce della stessa medaglia di dolore.

Chi ha abbandonato la propria terra, la casa, le amicizie ha fatto una rinuncia enorme, sotto spinta di obiettivi vitali, rimanere italiano e vivere in un paese libero. Chi è rimasto è stato depauperato della propria identità culturale e religiosa, privato di quel bene prezioso che è la libertà. E siccome le ideologie sono elementi non di coesione ma di divisione, anche in quel frangente sin sono rivelate tali, si erano creati conflitti, talora mai più risolti, anche in seno alle famiglie, perché si era creata un dualismo: chi aveva scelto l’esilio era fascista, chi rimaneva era comunista, una barriera al confronto e al dialogo. C’erano sì dei comunisti tra i rimasti e credevano nel “sol dell’avvenire” il paradiso rosso prospettato da Tito, ma non tutti sono rimasti per ideologia, anche mio nonno ne è un esempio. C’erano si dei fascisti tra gli esuli, ma non solo tra gli esuli, quanti in Italia ce n’erano? ma non tutti gli esuli erano fascisti...

Ci vorranno anni e anni per riconoscere le sofferenze altrui, le reciproche sofferenze. È una caratteristica dell’uomo generalizzare, e assolutizzare e purtroppo questo porta a fraintendimenti, preconcetti, tensioni, scontri. Ma se oggi ancora sentiamo parlare il dialetto istroveneto lungo le calli di Parenzo, Rovigno, Buie, Montona, Pola...dobbiamo dire grazie a chi è rimasto, che porta avanti l’italianità di quella terra e fa sventolare sui municipi anche il nostro tricolore.

Il Giorno del Ricordo, il 10 febbraio, solennità civile istituita dalla L.92 del 31 marzo 2004 “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”: ha segnato una svolta nella storia! Sì, perché la tragedia di quel popolo è stata segnata da tre momenti: le foibe, l’esodo, il silenzio, diversi nell’aspetto ma non nella gravità.
Le foibe, baratri formatisi nel terreno carsico, da sempre usate quale discarica, vi si gettavano sterpaglie, carcasse di animali, arnesi inutilizzabili; nel settembre 1943 e primavera 1945 in particolare hanno accolto esseri umani in modo orrendamente disumano, dopo violenze e soprusi, legati a due a due ai polsi e molte volte scaraventati ancora vivi.
L’esodo, un esodo biblico, oltre trecentomila persone, cui è seguita una diaspora, con la dispersione di questo popolo non solo in tutta Italia ma pure all’estero, nei vari continenti.
Il silenzio, che voleva, per ipocrisia politica, nascondere questa storia e si è protratto per decenni, quasi a voler far scomparire i superstiti...e così non occorreva parlarne più. Giorno del Ricordo, la svolta, il riconoscimento morale delle sofferenze subite e la sollecitazione a far conoscere questa parte di storia che non è solo di noi giuliano dalmati, ma è storia d’Italia, perché l’Italia è stata mutilata! e la legge parla infatti “della tragedia degli italiani”.

Noi esuli a Padova anno per anno promuoviamo iniziative culturali varie, mostre, presentazione di libri, spettacoli teatrali, tutti volti a coinvolgere la cittadinanza per la conoscenza di questa storia e la condivisione delle nostre comuni radici sociali e culturali. Abbiamo posto anche dei segni concreti, un cippo nel Cimitero Maggiore, sin dal 1950; una lapide in via Oberdan, nel 2004; e poi un cippo nel giardino del Tempio Nazionale dell’Internamento; una targa nel cortile nuovo dell’Ateneo; il busto a Giuseppe Tartini, eretto nel giardino della Chiesa di S. Caterina d’Alessandria. Giuseppe Tartini, nato a Pirano, in Istria, ora Slovenia, morto e sepolto a Padova: un simbolo d’unione tra queste due terre, che oggi si trovano sotto due diverse bandiere, ma su entrambe garrisce il vessillo blu con tante stelle a formare un cerchio, il simbolo dell’Unione europea. E sotto questo stesso vessillo c’è pure l’altra parte dell’Istria, Fiume e Dalmazia, ora Croazia...

Ricordiamo, portiamo nel cuore sì tutto il passato doloroso, ma ora, sotto questa comune bandiera cerchiamo di guardare avanti, con scambi culturali e collaborazioni, occasioni di crescita in un processo che va oltre, che, memore del passato guarda a un futuro diverso. Non sono solo parole, è un progetto di vita.

Italia Giacca
Presidente Onoraria dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - Comitato di Padova

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