Non barattiamo la salute in nome del Pil. La qualità dell’aria che respiriamo non ci interessa abbastanza

Sempre più attenti e preoccupati per quello che mangiamo, ancora troppo distratti per quello che respiriamo. Sulla qualità dell’aria che entra nei nostri polmoni, due campanelli d’allarme hanno suonato nei giorni scorsi.

Non barattiamo la salute in nome del Pil. La qualità dell’aria che respiriamo non ci interessa abbastanza

Il primo – forte e chiaro, quanto ricorrente – si chiama “Mal’aria” ed è il rapporto che ogni anno Legambiente diffonde e denuncia principalmente quante volte le nostre città superano la soglia critica sulla concentrazione di Pm10 e Pm2.5. Per quanto riguarda il 2023, il peggiore tra i capoluoghi è stato Frosinone con 70 giorni, ma Treviso (63), Padova e Venezia (62) lo tallonano. Se 18 su 98 città hanno superato i limiti durante lo scorso anno, preoccupano le proiezioni rispetto ai nuovi target già stabiliti per il 2030: se le cose non miglioreranno, il 69 per cento delle città capoluogo di provincia sarà fuorilegge per il Pm10, l’84 per cento per il Pm2.5 e il 50 per cento per il diossido di azoto (NO2 ). Ma le famigerate polveri sottili non sono un problema solo per i grandi agglomerati urbani. L’allerta 1 nei giorni scorsi è stata superata anche a Thiene, allarme rientrato poi in seguito alle ultime piogge. Il Comune ora ha presentato un ambizioso piano che prevede edifici pubblici green, ciclabili, boschi urbani e comunità energetiche. Progetti che hanno, su scala ben più ampia, il loro corrispettivo a Padova, con i cantieri per le due nuove linee del tram (a Rubano sono ora disponibili i terreni per il capolinea della linea 2 che arriverà a Vigonza) e una serie di altre iniziative legate al fatto che il capoluogo Euganeo è una delle nove città italiane a partecipare alla Missione dell’Unione europea per 100 città intelligenti e a impatto climatico zero entro il 2030, una sperimentazione in larga scala di ciò che al 2050 dovrà essere normalità. Da qui due riflessioni. La prima rischia di essere ridondante, ma rimane ineludibile: è necessario un cambio di mentalità, una vera e propria conversione culturale da parte di tutti i cittadini, tanto più in una regione policentrica come il Veneto. I numeri con cui abbiamo aperto questo editoriale non sono il solito allarmismo degli ambientalisti, sono minacce concrete alla salute, le loro dimensioni fisiche (infinitesimali) sono indirettamente proporzionali rispetto alla loro pericolosità (enorme). I primi a chiedere interventi di ogni tipo (normativo, tecnologico) dovremmo essere proprio noi cittadini, ne va del nostro benessere. La seconda riflessione ci riporta all’amministrazione della cosa pubblica. Abitiamo in contesti oramai troppo limitati per pensare che le decisioni di un singolo sindaco possano incidere realmente in una situazione complessa e già molto precaria. Tutto questo vale per Thiene, ma anche per Padova, come per Milano e Roma. I grandi piani anti inquinamento fin qui pensati hanno partorito al massimo una serie di chiusure coordinate dei centri urbani, ma tutto questo non basta. È il momento delle decisioni radicali, anche se impopolari. In Veneto, il prossimo mese dovrebbe essere definitivamente completata la Superstrada Pedemontana Veneta, manca solo l’interconnessione con l’A4 all’altezza di Montecchio Maggiore. In queste settimane, con la frana lungo la statale della Valsugana in comune di Valstagna e il nuovo crollo sulla provinciale 350 tra Lastebasse e Folgaria (l’ultimo risale ad appena tre mesi fa…) si è tornati a parlare di Valdastico Nord. Altro asfalto per nuove polveri sottili, caldeggiato peraltro dalle associazioni di categoria. A noi pare invece che sia venuto il momento di spingere per nuovi modelli logistici e per rendere gli spostamenti finalmente sostenibili. In tutto questo la politica ha il compito di avviare e sostenere i processi, i cittadini (nessuno escluso) di farsi parte attiva e di non remare contro in nome di interessi puntuali di piccolo cabotaggio. In campo ecologico sta tornando in voga il concetto di “Zona di sacrificio”. Negli ani Cinquanta si trattava dei luoghi in cui le potenze testavano ordigni nucleari. Oggi rischiamo che il Veneto (e non solo) diventi una zona di sacrificio, con aria, terreni e cibi contaminati, in nome del Pil.

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