Per combattere l’insicurezza e il bisogno di controllo torniamo ad abitare vie e piazze
Pare che in Veneto tutti vogliano il Controllo di vicinato. A parte l’iperbole, su 500 gruppi presenti in Italia, la metà sarebbe attiva nella nostra Regione. Per chi non ne avesse mai sentito parlare, si tratta di una pratica nata negli Usa negli anni Sessanta e sbarcata in Europa nel 1982 e in Italia dal 2009.

Consiste nel formare cittadini che, attraverso una chat online, informano Comune e forze dell’ordine su movimenti e persone sospetti attorno alle loro abitazioni e nelle vie limitrofe. L’idea ha una forte dose di deterrenza nei confronti dei malintenzionati grazie ai cartelli che campeggiano lungo le strade dov’è attivo un gruppo di “cittadini guardiani” e porta con sé una serie di distorsioni fisiologiche, come l’eccesso di sospetto, nel Veneziano l’autista di un furgoncino più volte segnalato si è presentato spontaneamente in caserma per spiegare che stava lavorando e non è un ladro. Altro rischio è che qualcuno si improvvisi tutore dell’ordine pubblico, mentre da cittadino non può fare altro che segnalare qualcosa che non va, nulla di più. Nel Veronese, per mantenere l’ordine anche tra i “controllori”, da qualche tempo vengono inseriti ex poliziotti ed ex carabinieri nelle chat. Lasciando da parte per un attimo i dettagli, viene da chiedersi che cosa spinga proprio ora gruppi di Controllo di vicinato a spuntare come funghi su tutto il territorio regionale e non solo. Perché in molti sentono l’esigenza di proteggere in prima persona la propria abitazione e quindi i propri cari? Da dove viene il senso diffuso di insicurezza che sta alla base di questa mobilitazione? Tre campanelli d’allarme e una proposta. Il primo è di tipo sociale, l’impressione è che sia definitivamente tramontato il tessuto connettivo che nei decenni univa il vicinato, le corti, le contrade, le vie, i quartieri. Ma se nei grossi centri questa realtà è conclamata da tempo, oggi il fenomeno riguarda anche i centri più piccoli della provincia e della Diocesi. Le comunità vive, che animano le proposte culturali, il tempo libero, la vita parrocchiale, anche nei paesi spesso si muovono in un contesto un cui il 50 per cento degli abitanti non prende parte alle iniziative, ma conduce la propria vita (spesso assai piena di impegni) scegliendo di risiedere in un determinato luogo più per i servizi o per l’ambiente naturale che per essere attore a propria volta dell’attivismo sociale. Il secondo campanello d’allarme è la (presunta) sfiducia nelle forze dell’ordine, i cui membri compiono un lavoro encomiabile, purtroppo scarsamente retribuito, ma non sufficiente a rassicurare i cittadini. Pare che reperire agenti di polizia locale stia diventando complesso quasi quanto assumere medici: nessuno vuole più farlo. Questo deve interrogarci sulla qualità della nostra pubblica amministrazione. Infine, terzo segnale preoccupante, l’incessante propaganda politica locale che spesso fa leva su questo senso di insicurezza generalizzato per provare a racimolare voti, almeno nelle fasce di popolazione che tende a sentirsi meno protetta: davvero vale la pena puntare sulla paura per attrarre il consenso in un contesto geopolitico che sta minando l’equilibrio che in Occidente ha garantito 75 anni di pace? La “rivoluzione Trump” sta sovvertendo dinamiche globali, apre crepe in alleanze decennali, espone l’Europa a un ruolo da protagonista che in questi lustri non è mai riuscita a esercitare. Non è il caso di insistere sul timore dell’altro, sulla cultura del sospetto. Problemi complessi non hanno mai soluzioni semplici, tuttavia ci permettiamo di proporre una riflessione per iniziare ad affrontare questa situazione. Perché non provare a uscire dalla nostra zona di confort per tornare a incontrare, a parlare con i vicini, a interessarci alle loro vite? La riservatezza, proverbiale in Veneto, non sia un alibi, di sera, specie con l’arrivo della primavera, possiamo alzarci dai nostri divani e “abitare” gli spazi esterni, le vie e le piazze, scambiare due parole per il gusto di farlo. Un passo alla volta, ciò da cui sentiamo di doverci proteggere, potrebbe trasformarsi in pezzo condiviso di casa nostra.