Sinodo diocesano. Chiesa e comunicazione: «Coinvolgimi e io imparo»

Come può la Chiesa di Padova migliorare il proprio modo di comunicare? Il tema, che implica molteplici aspetti quali il linguaggio utilizzato, la soglia di attenzione e il coinvolgimento emotivo di chi riceve la comunicazione, è stato al centro dell’ultimo incontro di formazione per la Commissione preparatoria del Sinodo diocesano e aperto anche a direttori e responsabili di uffici e servizi diocesani.

Sinodo diocesano. Chiesa e comunicazione: «Coinvolgimi e io imparo»

Per cogliere i possibili ambiti di miglioramento, converrebbe analizzare prima alcuni limiti della comunicazione all’interno della Chiesa in generale, non solo in quella padovana. È Luigi (Gigio) Rancilio, giornalista del quotidiano Avvenire, esperto di social network, intervenuto in video collegamento all’incontro diocesano, a offrire alcuni spunti: «Spesso il modo con cui parliamo nella Chiesa non arriva alle persone e non teniamo conto delle differenze di chi riceve i messaggi – spiega il giornalista – Tendiamo a ripetere gli schemi di sempre, a sovrastimare i nostri contenuti e frequentemente non parliamo come la gente comune. Ci concentriamo nel parlare solo a coloro che riteniamo “giusti” senza raggiungere i lontani e la “massa”».

Difficoltà e ostacoli che si inseriscono in un contesto sociale in cui la comunicazione viaggia veloce ed è sempre più orizzontale, tra pari. Se non si è chiari, né convincenti, le persone passano oltre e cercano altro: tutti hanno poco tempo, si inseguono contenuti diretti e comprensibili, soprattutto nell’utilizzo dei social network. Comunicare cose importanti in questi rapidi spazi virtuali è complesso, tanto più in un tempo in cui ciascuno di noi è “bombardato” di messaggi e notifiche. «Nello spazio virtuale, ma non solo, dobbiamo ricordare che se non siamo presenti con dei contenuti, quello spazio lasciato vuoto sarà occupato da qualcun altro –continua Rancilio – Allo stesso modo, una domanda senza risposta non resterà inevasa perché la risposta verrà cercata altrove. Per questo il suggerimento per essere buoni “seminatori digitali” è quello di chiederci sempre: “Perché qualcuno dovrebbe spendere del tempo per leggere o ascoltare quello che ho da dire?”. Chiediamoci continuamente perché vogliamo essere presenti su una piattaforma digitale e cerchiamo la qualità. Quando comunichiamo dobbiamo sempre farci carico di non ferire il prossimo, facendo attenzione alle parole che usiamo; a questo si aggiunge il cercare di essere generosi, il non pavoneggiarsi, pubblicare solo post utili, non usare scorciatoie, non parlare solo di sé, non cercare i “like” ma preoccuparsi invece di seminare il bene. Insomma, come ha sintetizzato l’arcivescovo di Milano Mario Delpini in una lettera rivolta agli adolescenti: “Non follower ma fellower”; ovvero, non cercare di essere seguiti spasmodicamente sui social, ma essere piuttosto buoni compagni di viaggio».

Di comunicazione nel mondo digitale parla anche Fabio Viola, docente universitario, autore del saggio L’arte del coinvolgimento (Hoepli, 2017) e designer di videogiochi. «La società di oggi è in rapida evoluzione – argomenta – sono presenti una molteplicità di messaggi e di pubblici, e un contenuto uguale per tutti non va più bene. Nel mondo dei videogiochi, come in quello della pubblicità, si sta passando dalla standardizzazione alla personalizzazione. La sfida di oggi è “rubare” tempo alle persone che non vogliono più, o non sempre, essere solo spettatori ma anche spett-attori, se non spett-autori, cercano cioè il coinvolgimento».

Coinvolgimento che deve fare i conti con l’attenzione di ciascuno di noi che è limitata. Tolte le ore del giorno in cui dormiamo, lavoriamo e mangiamo, le ore si riducono a sette-otto al massimo; queste sono il terreno di conquista di piattaforme di streaming video, canali tv e radio, piattaforme musicali, giornali online senza contare gli amici di Facebook, Instagram, Twitter, TikTok, Skype… Inserirsi in questo mare di offerte è davvero arduo e richiede l’utilizzo di linguaggi specifici. Anche molte proposte educative e culturali su piattaforme digitali – teatro, cinema, lezioni scolastiche – devono adattarsi a nuovi modi di comunicare, non basta più, per esempio, riprodurre online tale e quale una lezione agli studenti ma è necessario ripensarla completamente, adattando i contenuti al mezzo, utilizzando la creatività». Non solo digitale, nel mondo “reale” delle nostre parrocchie è possibile ragionare su nuove modalità comunicative: «L’omelia durante la messa resta un momento importante, fondamentale e deve continuare a essere curata – prosegue Viola – Vanno poi trovate modalità nuove per coinvolgere chi partecipa, credo molto in uno slogan utilizzato per i videogiochi ma che si può estendere al momento della messa: “Dimmi e io dimentico; mostrami e io ricordo; coinvolgimi e io imparo”». Secondo lo studioso, inoltre, la comunicazione attraverso il sito internet e i social delle parrocchie non dev’essere gestita da un’unica figura ma da più persone, meglio se di età diverse, in modo da creare contenuti che raggiungano target più ampi. Oggi, nessuno possiede tutte le competenze, per questo è importante il lavoro in team, la collaborazione, chiedere pareri, essere inclusivi. Soprattutto, è meglio realizzare meno contenuti ma più qualitativi. La Chiesa, come sottolinea la segreteria del Sinodo, non è tenuta a imitare gli stili della comunicazione più audace, quanto semmai a ritrovarsi, ad asciugare il linguaggio, a fornire il perché, a capire meglio le leve del coinvolgimento per non cadere nella trappola dell’intrattenimento. E, prima di ogni nuova ricerca comunicativa, il credente è tenuto a testimoniare la gioia di essere cristiano perché, afferma Rancilio, «chi ha incontrato Cristo non può essere infelice!».

La benedizione oltre le tenebre della pandemia

Non sono serviti linguaggi speciali quando il papa ha pregato solo in piazza San Pietro nel marzo del 2020. Oltre 17 milioni gli italiani che hanno seguito in diretta la benedizione Urbi et Orbi con il Santissimo Sacramento.

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