Troppo stress da lavoro: il rischio è di “bruciarsi” con il burnout

Secondo la ricerca di Unobravo, servizio di psicologia online, in Veneto nel 2023 le persone che hanno manifestato disagio psicologico sul fronte lavorativo sono cresciute del 134,8 per cento rispetto al 2022. Richieste dei datori sproporzionate e basso salario, le cause

Troppo stress da lavoro: il rischio è di “bruciarsi” con il burnout

Di lavoro si muore, come testimoniano i dati dell’Inail che registrano 191 decessi nel primo trimestre 2024, ma di lavoro sempre più spesso ci si ammala. Di una malattia, lo stress lavorativo che porta al burnout (letteralmente “bruciato”, “fuso”), che non è sempre facile riconoscere e che impatta non solo sulla vita del lavoratore che ne soffre, ma anche su quella delle famiglie e delle imprese. L’Eu-Osha, agenzia d’informazione dell’Unione Europea nel campo della sicurezza e della salute sul lavoro, segnalava già nel 2022 che «il 27 per cento dei lavoratori è affetto da stress, ansia o depressione causati o peggiorati dal lavoro» e indicava negli orari di lavoro asociali e nell’intensità degli impegni i rischi principali. Lo stress da lavoro correlato, inserito nell’ambito della tutela della salute sul lavoro con l’Accordo europeo nel 2004, sta diventando un problema crescente per il combinarsi di fattori che si sono aggravati e moltiplicati dopo la pandemia. Sono preoccupanti i dati raccolti in un’indagine sui primi mesi del 2024 da Unobravo, servizio di psicologia online nato nel 2019 che oggi conta un’équipe di seimila psicologi. Un sistema produttivo esigente, settori tradizionalmente a elevato stress come quello manifatturiero, il dilagare del lavoro da casa che impedisce la separazione tra tempo per la professione e tempo libero, bassi stipendi, difficoltà a vedere riconosciute le proprie aspirazioni portano alla “sindrome da stress lavorativo cronico”. Nel 2023, le persone che in Veneto manifestavano disagio psicologico sul fronte lavorativo sono cresciute del 134,8 per cento rispetto all’anno precedente e la tendenza si sta confermando anche per quest’anno. «Lo stress lavorativo si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono proporzionate alle competenze, alle risorse o alle specifiche esigenze del singolo individuo – spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e direttore clinico di Unobravo – Un ambiente stimolante, un buon equilibrio vita-lavoro e strategie di coping (adattamento) efficaci possono prevenire l’insorgenza di stress. L’incremento di richieste di supporto psicologico indica una crescente consapevolezza e la pandemia ha acceso l’attenzione sulla salute mentale, ma sottolinea la necessità di interventi mirati per affrontare le cause profonde. Le aziende dovrebbero implementare politiche più efficaci di gestione del lavoro e promuovere una cultura aziendale che favorisca il benessere dei dipendenti». La tendenza all’aumento delle richieste d’aiuto è forte in Veneto, quarta regione in Italia dopo Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna per stress lavorativo (8,8 per cento del totale nazionale) e Padova risulta la provincia veneta a più alto tasso di stress. In linea con i dati nazionali sono le categorie più esposte: cercano supporto soprattutto le donne (67,7 per cento in Veneto rispetto al 66,3 per cento in Italia) e le persone che si trovano all’inizio della carriera (il 65 per cento ha tra i 25 e i 34 anni).

E non da meno l’Italia è uno dei Paesi con la crescita stipendi più bassa... «Potrebbe esserci una correlazione tra una scarsa crescita degli stipendi e l’aumento dello stress lavorativo. Quando la retribuzione non è adeguata o rimane invariata per molto tempo, i lavoratori possono sentirsi poco valorizzati e ciò può generare un profondo senso di frustrazione che potrebbe essere fonte di grande stress. Anche l’incertezza economica legata alla stagnazione salariale può provocare ansia. Inoltre, la percezione di un carico di lavoro eccessivo senza un corrispondente aumento della retribuzione o reali opportunità di carriera può contribuire a sentimenti di insicurezza e demotivazione».

Quali sono i segnali da cogliere? Chi può “dare una mano”? «La sindrome di burnout può presentarsi in diverse forme e con una varietà di sintomi, che possono essere catalogati come di natura psicologica (cambi d’umore, irritabilità, senso di colpa, pensieri di fallimento, senso di oppressione e impotenza), somatica (stanchezza, apatia, disturbi del sonno e dell’appetito, problemi gastrointestinali) o aspecifica. Quando lo stress supera una soglia normale e ci sentiamo sopraffatti da esso, è essenziale chiedere aiuto. Il supporto può venire dai familiari, dai colleghi, dagli amici o da uno specialista. È importantissimo che nei luoghi di lavoro vengano coltivati l’empatia, l’ascolto attivo e una comunicazione aperta. Si migliora il benessere individuale e si contribuisce alla produttività complessiva dell’organizzazione».

Come rapportarsi con i datori di lavoro che possono essere anche parte del problema? «Stabilire un dialogo aperto è fondamentale. Comunicare apertamente i propri stati d’animo favorisce un clima di lavoro più positivo, basato sulla fiducia reciproca e sulla trasparenza. È essenziale che datori di lavoro e manager siano consapevoli di eventuali difficoltà o disagi dei propri collaboratori, così da poterli affrontare insieme e trovare soluzioni adeguate. Se nonostante i nostri tentativi di far comprendere le nostre esigenze la situazione dovesse rimanere invariata, potrebbe divenire necessario prendere decisioni più drastiche, come stabilire limiti e confini chiari o, persino, terminare il rapporto di lavoro al fine di proteggere il nostro benessere emotivo».

No vergogna

«Ciascun individuo è unico e presenta una soglia diversa di resistenza allo stress. Perciò non esiste una soluzione univoca per tutti – sottolinea Valeria Fiorenza Perris – È essenziale identificare il problema, ascoltare il nostro corpo e riconoscere i segnali precoci può aiutarci a prevenire la sindrome di burnout e intervenire prontamente. Inoltre, è essenziale superare eventuali timori o senso di vergogna e chiedere aiuto quando necessario. Anche rivolgersi a un professionista della salute mentale può rivelarsi uno strumento utile per imparare a bilanciare lavoro, impegni personali e tempo libero e migliorare la gestione dello stress».

Tra i veneti, uno su cinque è della provincia di Padova

Come visto nel 2023, le persone che in Veneto manifestavano disagio psicologico sul fronte lavorativo sono cresciute del 134,8 per cento rispetto all’anno precedente e la tendenza si sta confermando anche per quest’anno: nei primi quattro mesi del 2024, infatti, emerge una crescita del 100,3 per cento. Il 22 per cento dei veneti che dichiara di avere problemi psicologici legati al lavoro sono padovani, mentre la provincia di Verona registra 20 per cento, Treviso il 19 per cento, Vicenza 16,7 per cento, Venezia 14,6 per cento. Più serene le situazioni nel Bellunese (4,4 per cento) e a Rovigo (3,3 per cento). A livello nazionale, il 28,3 per cento di coloro che si sono rivolti a Unobravo dichiara di avere delle difficoltà sul fronte professionale e di questi, il 57,3 per cento manifesta una sofferenza generata dal lavoro stesso.

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