Uscire da se stessi per accogliere l'altro

Papa Francesco, nella Laudato si’, invita a «sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro». È la chiave della cura per l’altro e l’ambiente.

Uscire da se stessi per accogliere l'altro

Che significa vivere nel segno della conversione ecumenica (tema guida di questo percorso quaresimale)?

Certo è una dinamica complessa, ben illustrata dal numero 208 dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, che invita a «sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro (...). L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente».

Conversione dunque è uscire, superando quel ripiegamento su se stessi che è segno del peccato, per scoprirsi invece guardati – in primo luogo dall’affetto del Signore, che ci precede e sempre ci attende. Scoprirsi, però, anche guardati dall’altro: da uomini e donne i cui volti interpellano e chiamano alla cura.

Quando non si accoglie tale appello, quando non si acconsente a tale movimento di uscita, aggiunge Laudato si’, «non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda».

Più volte in Fondazione Lanza abbiamo evocato quel grande pensatore morale che è il filosofo ebreo Emmanuel Levinas (1906-1995): proprio nel volto d’altri egli scopriva la radice di ogni interpellazione etica.

Declinare la dinamica della conversione in questo nostro tempo, però, significa anche lasciarsi guardare dal volto di chi si presenta nella povertà, cercando spazi di vita. Impossibile non pensare in tal senso alle dinamiche delle migrazioni, ai tanti volti che cercano possibilità di esistenza lontano da contesti sociali ed ambientali degradati. Di fronte a essi convertirsi significa apprendere lo sguardo accogliente di chi sa che siamo ospiti su una terra che è di tutti; di chi ricorda che essa è un dono, che riceviamo sempre e di nuovo come destinato alla condivisione. Non a caso la Costituzione conciliare Gaudium et Spes parlava di una "destinazione universale dei beni della terra", persino aldilà del diritto di proprietà.

L’orizzonte è quello della famiglia umana, nelle differenze che la attraversano; la parola chiave – aldilà delle reali difficoltà dell’accoglienza – quella della fraternità e sororità, del dialogo teso alla convivenza. Moralmente inaccettabile invece la discriminazione, la negazione della comune umanità, il razzismo.

Inaccettabile anche quella versione sottile, che sotto l’apparenza della difesa di una cultura maschera la sostanza di un rifiuto dell’altro nella sua dignità. Conversione ecumenica significa invece accoglienza del volto dell’altro, nella sua fragilità, ma anche dialogo tra culture, capace di cogliere e di accogliere i germi di verità presenti in ognuna di esse.

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