Carcere, Antigone: “Riformare o abolire, non può rimanere così com’è”

L’invito a un ripensamento dell’istituzione carceraria arriva da Antigone Emilia-Romagna, che sottolinea un dato: “Ci sono istituti in cui il 90 per cento delle persone detenute è in terapia psichiatrica. Carceri anche focolai Covid”

Carcere, Antigone: “Riformare o abolire, non può rimanere così com’è”

Suicidi, violenze, recidiva. È questo il profilo del carcere emerso in occasione del webinar “Carcere riforma o abolizione?” organizzato dall’associazione Antigone Emilia-Romagna insieme con Extrema Ratio. Per provare a rispondere alla domanda, due tesi contrapposte e un dubbio: giusto lavorare per la totale soppressione dell’istituzione carceraria o per il suo cambiamento? Alla base, alcune certezze comuni: l’afflizione come conseguenza della soppressione della libertà, la sofferenza dei detenuti e il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dall’art.27 della Costituzione per cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Secondo il rapporto dell’Osservatorio Antigone, nel 2019 sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti penitenziari italiani, con un tasso di 8,7 casi su 10 mila detenuti a fronte dei 0,65 suicidi su 10 mila abitanti nell’intero territorio nazionale. Antigone, durante il webinar, ha posto l’accento anche sull’incidenza delle malattie psichiatriche, “spesso cause ed effetto della detenzione. Nei 98 istituti che abbiamo visitato, in media il 27,6 per cento dei detenuti è in terapia psichiatrica. Con alcuni record – denuncia –: nell’istituto penitenziario di Spoleto è risultato in terapia il 97 per cento delle persone recluse, a Lucca il 90 per cento, a Vercelli l’86 per cento”. Come noto, complice l’emergenza sanitaria, è tornato alla ribalta il tema del sovraffollamento, legato a doppio filo con la necessità di garantire le misure anti contagio previste. Come ha spiegato Mauro Palma, Garante nazionale dei detenuti, “le persone detenute positive sono 882, distribuite in 86 istituti. L’incidenza del contagio è alta anche tra gli operatori penitenziari, il cui numero di positivi è attorno al migliaio”.

“Se un sistema deve essere valutato in base ai risultati e rispetto agli obiettivi, si può dire che il sistema penitenziario italiano stia clamorosamente fallendo il suo compito – afferma Francesco d’Errico presidente di Extrema Ratio –, tanto nell’ottica della risocializzazione, quanto dell’umanità della pena. Da questo fallimento scaturisce un dubbio legittimo e la necessità di tentare nuove strade: la prima è quella che chiede un processo di riforma, teso a un’umanizzazione del sistema, che cerchi di bilanciare i diritti in gioco. La seconda è più radicale e opta per l’abolizione del carcere in sé”. Ed è proprio questa seconda strada quella indicata da Livio Ferrari, giornalista e portavoce del movimento “No prison”: “L’abolizione non è un'utopia, ma una necessità. Non è solo una questione umana e sociale, ma anche economica. Il costo del sistema carcerario italiano, infatti, è di 3 miliardi di euro, 134 euro al giorno è il costo di ogni persona detenuta. Il carcere è un luogo dove la legge non esiste più, esistono solo violenza e cattiveria. Tra quelle mura, lo Stato è stato sconfitto e regna la legge del taglione. Perché, allora, non si riesce ad abolirlo? Perché ci sono troppi interessi economici in gioco”.

Propenso a una riorganizzazione dell’istituzione carceraria, invece, è Marco Ruotolo, professore ordinario di diritto costituzionale all'università di Roma Tre: “Abolire il carcere non è realistico: l’opinione pubblica vede la carcerazione come imprescindibile e la politica cerca di accontentarla. Senza dimenticare che, in alcuni casi, l’isolamento sociale per la pericolosità della persona condannata è necessario. Ritengo, piuttosto, che sia importante depenalizzare e intendere la carcerazione come extrema ratio, favorendo misure esterne. Queste, è dimostrato, riducono la possibilità di recidiva. Il messaggio che deve passare è: meno carcere significa più sicurezza”.

Medea Calzana

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)