Celebrare con il corpo. Liturgia. Come la viviamo e la facciamo vivere ai ragazzi? Non certo da spettatori

Non può essere un’istruzione teorica, ma pratica, la via che conduce alla vita liturgica. È prima di tutto un’azione che coinvolge tutta la persona e che si avvale di segni e simboli

Celebrare con il corpo. Liturgia. Come la viviamo e la facciamo vivere ai ragazzi? Non certo da spettatori

Noi siamo cresciuti grazie a emozioni, sensazioni, segni che vengono dall’ambiente esterno e che ci parlano attraverso il nostro corpo, un corpo “sensoriale” che ci permette di entrare in relazione con gli altri e con l’Altro. Non comunichiamo solo con il linguaggio, ma anche con uno sguardo, con un gesto, con una danza, con una musica, con un dipinto...

Tutti questi linguaggi li portiamo anche nell’assemblea liturgica. Il nuovo cammino di iniziazione cristiana prevede una serie di riti liturgici che si accompagnano alla partecipazione al rito della messa domenicale. Ma come viviamo e facciamo vivere ai nostri ragazzi la liturgia? La via che conduce alla vita liturgica non può essere un’istruzione teorica, ma pratica, è prima di tutto un’azione che coinvolge tutta la persona e che si avvale di segni e simboli.

La liturgia viene vissuta dall’assemblea dei credenti in un luogo che i cristiani chiamano “chiesa” e in un tempo che è quello del sacro. Oggi dovremmo riappropriarci del tempo sacro, del luogo e del senso della festa per far ritornare anche le nostre liturgie a quella dimensione di splendore che rimandava allo splendore della gloria di Dio. Spesso non distinguiamo più la differenza tra “pasto sacramentale” e pasto quotidiano tanto da accostarci all’eucaristia senza quel senso di rispetto e di stupore proprio di chi accoglie in sé il Signore.

Il concilio Vaticano II parla di partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa del popolo di Dio e non di liturgie vissute come spettatori, spesso annoiati, di certo non attivi. I gesti simbolici che il fedele compie a partire dal segno della croce che rimanda ai misteri principali della fede, l’unità e la trinità di Dio, l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo, devono, come dice Guardini, essere fatti bene, «devono rimandare a quell’abbraccio che Gesù ci dona dalla croce, devono avvolgere corpo e anima». I simboli presenti nelle liturgie - acqua, luce, olio, profumo, fuoco, pane, vino - aprono a un universo di significazione sia reale che evocativa, riconosciamo in essi un legame con quel “qualcos’altro” a cui il simbolo ci apre.

Se la dimensione simbolica che passa attraverso le nostre sensazioni, emozioni, è parte integrante del nostro essere e la liturgia e in genere l’esperienza religiosa sono luogo generativo del simbolo, allora la liturgia ha qualcosa da dire al nostro essere. In questo modo educazione e liturgia dovrebbero essere parte fondante della nostra vita. Dice Lalande: «Il simbolo è il segno concreto che evoca, per rapporto naturale, qualcosa di assente e di impossibile da percepire».

Se, ad esempio, io vedo una “rosa rossa” in mano a un ragazzo è una azione reale che dice alcune cose, ma che ha bisogno di storia, cioè del significato che ha una rosa rossa nella nostra cultura e che cosa può dire in mano a un giovane. Poi se lui è un fiorista vuol dire altro, e se lui la dona a me è una altra cosa ancora.

Se noi siamo creature simboliche non possiamo che riappropriarci di quel vasto mondo generativo di azioni simboliche che è la liturgia e allo stesso modo la liturgia dev’essere in grado di farci vivere pienamente questa dimensione.

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