Etiopia, è tempo di tracciare il futuro. La visita del vescovo Claudio nella prefettura di Robe

La missione. Il vescovo Claudio a luglio è tornato nella prefettura di Robe tre anni dopo l’ultimo viaggio. Grazie al lavoro dei tre missionari in loco, ora ci sono gli elementi per decidere quale presenza mettere in atto. Il 15 settembre si riunisce il consiglio presbiterale

Etiopia, è tempo di tracciare il futuro. La visita del vescovo Claudio nella prefettura di Robe

Novembre 2019, luglio 2022. Poco meno di tre anni separano i due viaggi del vescovo Claudio nella missione padovana
in Etiopia, nella prefettura apostolica di Robe, tra la gente Oromo, per il 98,5 per cento musulmana e per una percentuale simile molto molto povera. «Tre anni fa ero ripartito dall’Etiopia con una grande domanda: come strutturiamo la nostra presenza qui? Quali obiettivi possiamo darci? Quale stile di annuncio del Vangelo siamo chiamati ad assumere? Ora è venuto il momento di decidere». Così mons. Cipolla inizia il racconto del viaggio che lo ha visto nell’Africa orientale dal 17 al 25 luglio scorsi, accompagnato da don Raffaele Gobbi, al suo ultimo viaggio da direttore del Centro missionario diocesano (dal 1° settembre gli subentrerà don Raffaele Coccato), don Sebastiano Bertin e Fabio Buoso dello stesso Centro missionario. Sono stati giorni di incontri, con il nunzio mons. Antoine Camilleri e con il prefetto apostolico padre Angelo Antolini, cappuccino marchigiano, ma soprattutto con i tre missionari fidei donum don Nicola De Guio, don Stefano Ferraretto e Ilaria Scocco (che da gennaio ha preso il posto di Elisabetta Corà). «Ho toccato con mano l’eccellente lavoro esplorativo, di studio della lingua e di costruzione di relazioni, con umiltà e attenzione per la gente, che i nostri missionari hanno compiuto in questi anni nonostante il Covid e le tensioni che hanno attraversato il Paese: la nostra Chiesa può essere consapevole di avere dei rappresentanti apprezzati e riconosciuti in loco». I fattori in gioco. Come continuerà a crescere la presenza padovana a Robe sarà discusso nell’incontro del consiglio presbiterale fissato per il 15 settembre prossimo, al centro del quale ci sarà la presentazione della realtà, in video conferenza, da parte dei missionari. Le dinamiche di cui tener conto sono numerose. Dal punto di vista pastorale, oggi don Nicola, don Stefano e Ilaria (con cui non siamo riusciti a parlare per problemi di linea, ndr) risiedono ad Adaba, dove si trova anche una casa famiglia, ma seguono anche le comunità di Dodola a trenta minuti e di Kokossa, fondata dal vescovo emerito Mattiazzo, a oltre due ore di strada. Le distanze, la necessità di accompagnare piccole comunità nascenti e le richieste della popolazione locale suggeriscono l’invio di altri missionari per rendere più stabile e operativa la presenza.

La povertà diffusa.
«C’è anche forte una questione umanitaria – riprende il vescovo Claudio – La povertà è talmente forte ed evidenteda generare situazioni davvero toccanti. Mancano i servizi sanitari, igienici, educativi e non possiamo non tenerne conto». Questo non si traduce in progetti concreti al momento. «Non abbiamo pensato a strutture o organismi particolari – conferma don Raffaele Gobbi – Va però tenuto conto della realtà. Specie nell’area di Kokossa i problemi alimentari sono forti, l’annuncio puro del Vangelo senza sostenere nei bisogni essenziali le persone con cui desideriamo condividere la fede non è possibile, come leggiamo nella lettera di Giacomo (2,15-16)». Robe è anche terreno in cui le religioni si incontrano. Oltre alla grande maggioranza musulmana, nei centri più popolosi è presente la Chiesa antico-orientale, detta impropriamente ortodossa, mentre gli stessi cattolici si dividono in due riti: per l’80 per cento quello latino, per il restante 20 per cento di rito e lingua antico-orientale. Si tratta di un puzzle non semplice da comporre, che la popolazione sta iniziando a conoscere anche distinguendo i vari operatori, lo stile e le proposte. Nella crescita della prefettura conta molto la comunione tra missionari ed etiopici che si sta creando, oltre agli arrivi dei padri Cappuccini locali e di missionari della comunità di Villaregia.
La Chiesa contro la violenza.
«Robe è lontana dalla guerra scatenatasi negli ultimi anni per le rivendicazioni del Tigray e la risposta forte del presidente Abiy Ahmed Ali – riprende don Gobbi – In zona piuttosto è attivo il terrorismo isolazionista che nasce dalla spinta indipendentista degli Oromo e per questo nel tempo si erano alleati con i tigrini. La Chiesa cattolica è in campo per camminare verso la riconciliazione. Il fatto che alcuni membri della prefettura siano in primo piano su questo ha un grande valore. Negli scorsi mesi, il direttore del Segretariato sociale della prefettura, simile alla nostra Caritas, è stato invitato assieme a don Nicola per una sessione formativa sulla riconciliazione e la guarigione delle ferite sociali che la violenza genera. Nascerà un percorso formativo nelle scuole». Dopo il viaggio iniziano dunque le settimane di discernimento: «Progetteremo il futuro della nostra presenza in Etiopia in base alle esigenze della popolazione e alle forze su cui possiamo contare – conclude il vescovo Claudio – Alle spalle abbiamo tre anni di conoscenza su cui pregare e riflettere, sapendo che si tratta di una missione impegnativa che ha bisogno di stabilità»

Tre missionari a servizio degli ultimi tra i poveri
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Le tre comunità di Adaba, Dodola e Kokossa, dove sono attivi i missionari fidei donum padovani, sono tuttora piccoli centri con poche decine di fedeli. «Tuttavia, dopo tre anni, ho rivisto volti conosciuti», commenta il vescovo Claudio. Si tratta di piccole comunità che hanno bisogno di stabilizzarsi e crescere, in cui l’annuncio del Vangelo deve sposare l’atttenzione umanitaria.

Il Paese

L’Etiopia è una repubblica federale con capitale Addis Abeba. Gli abitanti sono oltre 117 milioni sparsi su un territorio immenso. Dal 4 novembre 2020 è in corso un conflitto violento tra il Fronte di liberazione del Tigray e il Governo federale. Le dinamiche storiche continuano a innervare anche il presente. Storicamente i membri dell’etnia tigrina, di religione cristiana antico-orientale, ha mantenuto il controllo del Paese. Prima ancora, l’imperatore Aile Selassie, della stessa religione, aveva governato con pugno di ferro. Queste dinamiche sono alla base dell’istabilità odierna

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