Fine vita. Draoli (Fnopi): “Il malato non si senta mai lasciato solo nelle sue scelte”
Un documento di supporto alla legge 219/2017 messo a punto dalla Federazione professionale degli infermieri per tracciare il percorso dell’assistenza nel fine vita da parte della categoria professionale più vicina in questa fase ai pazienti e alle famiglie. Parola d’ordine, sintetizza il coordinatore dei lavori, “esserci”
Relazione, partecipazione, condivisione: in un parola “esserci”. Questa, in estrema sintesi, l’anima del documento “La disciplina infermieristica all’interno della legge 219/17”, pubblicato il 23 luglio dalla Fnopi (Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche) che lo scorso maggio ha presentato il suo nuovo Codice deontologico. “La persona (sana o malata), nel rispetto della sua autonomia, non deve essere lasciata sola nelle scelte che potrà o dovrà compiere”, spiega la presidente BarbaraMangiacavalli sottolineando l’importanza del ruolo dell’infermiere e richiamando la “clausola di coscienza” prevista all’art. 6 del suddetto Codice qualora a questa figura sia richiesta un’attività “in contrasto con i valori personali, i principi etici e professionali”. Nella legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) non ci sono riferimenti diretti all’infermiere, ma si citano prevalentemente altre professioni e, in alcuni casi, l’équipe. Per questo, spiega al Sir Nicola Draoli, consigliere del Comitato centrale Fnopi e coordinatore i lavori per la stesura del documento, il testo presentato oggi “chiarisce l’apporto richiesto, dal punto di vista legale, disciplinare e deontologico, all’infermiere per contribuire all’effettiva realizzazione della legge”.
“Il fulcro di tutto il lavoro – sottolinea Draoli al quale abbiamo chiesto di illustrarci l’obiettivo del documento e la posizione della Fnopi sul fine vita – è quello della competenza relazionale, non solo tecnica, della capacità di accogliere la persona, di starle vicino”. Non a caso il motto che ne sintetizza il senso è: “Tu puoi scegliere sempre. Ma non perché noi non ci siamo”.
“Noi ci dobbiamo essere sempre – rilancia il consigliere della Federazione -. Il nostro compito è accompagnare un percorso normato dalla legge accogliendo non solo gli aspetti di natura clinica, ma anche quelli esistenziali e umani della persona affinché il malato non si senta mai abbandonato, né portato da una sensazione di solitudine a prendere decisioni che in uno stato d’animo diverso non assumerebbe”.
“Nei percorsi di fine vita – prosegue – riconosciamo la libertà individuale e l’autodeterminazione della persona nei limiti delle normative vigenti, ma il rischio che tocchiamo con mano ogni giorno in un contesto sociale sfilacciato come il nostro è il senso di abbandono, che nel corso di una malattia importante può diventare drammatico. In questa cornice l’infermiere diventa un agente morale assumendo quasi funzioni di advocacy, di tutela dei diritti della persona”.
Con riferimento alla clausola di coscienza prevista nel nuovo Codice, Drauli spiega: “Ci potremmo trovare in un conflitto di natura etico-morale rispetto alle decisioni che il paziente può assumere. L’obiezione di coscienza è quella normata per legge ma noi abbiamo previsto la possibilità di manifestare una nostra clausola di coscienza, ossia di dichiarare un’eventuale difficoltà a prestare assistenza di fronte a posizioni molto diverse dal nostro sentire, ma sempre con l’impegno di garantire continuità assistenziale alla persona con tutti i mezzi a nostra disposizione come l’assegnazione di un altro infermiere di riferimento o l’individuazione di percorsi alternativi”.
Tra i punti cardine della legge 219/17, il consenso informato previsto all’art.1. “Spesso si riduce ad un atto meramente documentale, ma questo, come infermieri, dobbiamo impedirlo”, sostiene Draoli precisando che il momento della raccolta del consenso deve essere “un momento di condivisione delle cure. L’informazione della persona è un atto di natura medica, ma questo non può esimere l’infermiere dal garantire che l’acquisizione del suo consenso sia un percorso partecipato, compreso e condiviso. Un diritto che dobbiamo assicurare ad ogni paziente”. Allo stesso modo “auspichiamo che il medico di famiglia e/o, laddove è già a regime, l’infermiere di famiglia o di comunità, siano coinvolti nella formulazione delle Disposizioni anticipate di trattamento, perché anche se l’art. 4 non lo prevede, la stesura delle Dat dovrebbe essere il frutto di un percorso informato, partecipato e condiviso”.
Così come la pianificazione condivisa delle cure (art. 5) che arriverà successivamente, nel corso della malattia. “E’ fondamentale esserci – ribadisce Darli – affinché nessuno, nel rispetto della propria autonomia, venga lasciato (o possa sentirsi) solo o obbligato ad assumere decisioni dettate da senso di abbandono, di scarsa dignità e isolamento. E’ questa la chiave di tutto”.