La guerra nonostante l’incanto. Cento anni fa usciva “La montagna incantata” di Thomas Mann

Quella sensazione di attesa nelle stanze per privilegiati di tutta Europa è l’anticipazione della fine di quel mondo

La guerra nonostante l’incanto. Cento anni fa usciva “La montagna incantata” di Thomas Mann

“Addio, Hans Castorp, schietto pupillo della vita! La tua storia è terminata. L’abbiamo narrata fino alla fine.”

100 anni fa usciva “La montagna incantata”, uno dei capolavori -per alcuni Il capolavoro- del grande scrittore tedesco Thomas Mann. Secondo le sue stesse parole una “storia ermetica”, non perché difficile da comprendere, ma in quanto si avvicina pericolosamente ai procedimenti di ricerca della materia perfetta, della pietra filosofale. Solo che questi procedimenti sono, sembra dirci Mann con questa lunga storia (che all’inizio doveva essere invece breve), contaminati dai limiti dell’essere uomini, e quindi sottoposti a quegli stessi limiti e alla distorsione di uno sguardo che inquadra -e comprende- solo pochi dei misteri della vita.

Il fallimento è a due passi, anche se la stessa idea di fallimento vuol dire tutto e niente. In fondo il giovane Hans si era avvicinato al sanatorio alpino dove si curava la tubercolosi per fare visita a un suo cugino lì ricoverato, e il primo paradosso che svela la limitatezza degli umani progetti è che il parente uscirà prima di lui, che invece resterà lì per molto tempo, in quanto anche lui preda della tisi.

E lì inizia il lungo cammino di un giovane ingegnere in una sorta di isola perfetta sulle montagne, fuori dal dallo spazio-tempo della comunità in basso. Potrebbe sembrare un paradiso sulla terra, e non lo è, perché in quel sanatorio si svolge il duello mortale tra la ragione illuministica e laica, incarnata nel massone Settembrini, e lo slancio irrazionale, fuori dalle categorie di quella ragione, del gesuita Naphta. Sembrerebbe che Hans parteggi per il primo, se non fosse che quell’isola sulle Alpi (Mann stesso aveva accompagnato in un sanatorio alpino la moglie che doveva esservi curata) non solo riflette le divisioni, le lotte, gli istinti, le contraddizioni (anche quelle dell’amore) del genere umano, ma assiste ad una nuova carneficina, quella della prima guerra mondiale.

Hans scende dalla montagna incantata per arruolarsi ed andare a combattere come tutti gli altri giovani: “le tue probabili sorti sono brutte; la mala danza nella quale sei trascinato durerà ancora qualche anno, e noi non ce la sentiamo di scommettere forte che ne uscirai salvo”. Neanche l’autore della storia sa cosa accadrà, perché il Novecento non è più il tempo dell’onnipotenza del narratore, che si sente invece preda di un destino che somiglia sempre più ad un caos senza possibilità di spiegazione.

Mann aveva iniziato il romanzo nel 1912, quando era ancora convinto della giustezza del combattere per la patria, ma lo aveva interrotto con lo scoppio della Grande Guerra e lo aveva ripreso per concluderlo, dopo una lunga gestazione, dodici anni dopo, quando la sua visione del mondo e della storia era cambiata.

L’incanto apparente di quella montagna è minacciato fin dall’inizio da una atmosfera ambigua, segnata anche dalla realtà di un luogo cui solo i ricchi possono accedere, segno tangibile dell’ingiustizia della società, e della storia stessa. Quella sensazione di attesa nelle stanze per privilegiati di tutta Europa (è questo il cosmopolitismo? sembra chiedersi l’autore) è l’anticipazione della fine di quel mondo, o per lo meno di una sua parte, che sembra vivere in alto ma non può non fare i conti con il basso, la dimensione infera.

Non sembra esserci soluzione in un mondo che dimenticando Dio e la pace sprofonda di nuovo nel macello animale, reso ancora più terribile dalle nuove, raffinate, tremende armi. Ma il laico Mann, alla fine del suo complesso racconto di formazione, cede alla speranza di una nuova alba: “Chi sa se anche da questa mondiale sagra della morte, anche dalla febbre maligna che incendia tutt’intorno il cielo piovoso di questa sera, sorgerà un giorno l’amore?”.

Mai parole di un racconto apparentemente “ermetico” sono state tanto attuali e vere.

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Fonte: Sir