La vittoria (teatrale) della non conformità
Un attore non vedente, una giovane performer con osteogenesi imperfetta e una compagnia formata da persone disabili sono risultati tra i vincitori dell’ultimo Premio Ubu, uno dei riconoscimenti più importanti nel panorama artistico italiano. Il giudizio del critico Graziano Graziani
ROMA - Sono l’emblema di quanto di meglio il panorama teatrale italiano abbia saputo offrire lo scorso anno. Rappresentano l’eccellenza. Non a caso sono stati tra i vincitori ex aequo, qualche mese fa, del Premio Ubu 2018, uno dei riconoscimenti più importanti per chi ha fatto dello stare sul palco il proprio mestiere. Sono Gianfranco Berardi (miglior attore, “Amleto take away” la sua ultima produzione), Chiara Bersani (nuova attrice/performer under 35 con il suo “Gentle Unicorn”) e l’Accademia Arte della diversità - Teatro la Ribalta diretta da Antonio Viganò (premio speciale della giuria per il miglior progetto artistico). Ma sono anche, rispettivamente, un attore non vedente, una giovane con osteogenesi imperfetta e una compagnia formata da una decina di persone con disabilità cognitiva o disagio psichico. Perché si può stare in scena da professionisti energici e irriverenti anche se si è ciechi, si può essere una performer interessante anche con un corpo non convenzionale, si può essere una compagnia di attori disabili senza per questo realizzare spettacoli amatoriali.
“Super A bile Inail” , in una delle sue inchieste, ha chiesto un parere a Graziano Graziani, scrittore, giornalista e critico teatrale, autore e conduttore di Fahrenheit a Rai Radio 3. "Gianfranco Berardi e Chiara Bersani sono artisti che sono stati riconosciuti solo in quanto tali, professionisti premiati esclusivamente per le loro capacità attoriali. Stessa cosa vale per l’Accademia Arte della diversità. Ma se questo è stato possibile, è grazie all’opera di chi, prima di loro, ha fatto in modo che a teatro i corpi non conformi diventassero la normalità. Penso a coreografi come Virgilio Sieni, che ha fatto danzare insieme anziani e bambini, alle altre tipologie di movimento proposte da Roberto Castello, agli spettacoli di Armando Punzo con i carcerati, al lavoro di altri registi italiani con i rifugiati, i migranti o le persone con problemi di salute mentale. Oggi tutto questo non sorprende più: la qualità artistica non è la regola, ma non è nemmeno l’eccezione", continua Graziani. "Siamo nell’epoca dei teatri plurali, fatti a partire dalle diversità. Forse è per merito della ricerca o della sperimentazione, che hanno testato l’allontanamento dalla norma, ma voler scavare un fossato con la tradizione è anacronistico, è superato. Esiste una scena del contemporaneo che non si pone limiti, che cerca una soluzione senza aderire a un ideale astratto. A volte il percorso è contrario: l’idea nasce proprio dal limite. C’è stata una maturazione teatrale, nel tempo, che ha portato all’esplorazione dell’inaspettato, a diversi modi di creare, a contesti espressivi differenti”. Finalmente sono stati concepiti tanti tipi di teatro". Era ora. (mt)