Lacrime di scolaro. Un bimbo piange sconsolato: è costretto a seguire le lezioni scolastiche da casa, dallo schermo per pc
Lo si è detto in mille modi diversi e l’insistenza sull’importanza dell’apertura delle aule scolastiche ha sottolineato la questione: la scuola è principalmente relazione, contatto, scambio.
Un bimbo che piange davanti al computer. La foto, scattata dalla mamma del piccolo, una donna statunitense della contea di Coweta in Georgia, ha fatto rapidamente il giro del mondo. C’era da aspettarselo in questi tempi così “social” e interconnessi.
Perché piange il bambino? Perché è costretto a seguire le lezioni scolastiche da casa, dallo schermo per pc. Lo spiega la sua mamma, che ha inviato la foto alla Cnn e l’ha postata in rete con tanto di spiegazione, in un tweet. “Ha abbassato la testa e si è messo a piangere. Ho fatto questa fotografia perché volevo che la gente vedesse la realtà”.
Era il primo giorno di scuole e le restrizioni per il Covid, anche negli Stati Uniti, hanno costretto il piccolo alla mitica “didattica a distanza”, che proprio non avrebbe voluto. Avrebbe infatti chiesto alla mamma di poter andare a scuola. Certo, poi ha capito la necessità della prudenza, me evidentemente la frustrazione è stata grande e ad un certo momento ecco il pianto davanti al pc. Quasi una resa. Con la mamma che prima di consolare immortala quello che succede.
Il piccolo/grande dramma del bambino statunitense non tocca certo il valore della didattica a distanza, non è la demonizzazione di una procedura che può costituire una risorsa per il mondo della scuola, purché naturalmente lo stesso ambiente scolastico ne stabilisca i confini. Resta però un’immagine che fa riflettere immediatamente su alcuni bisogni fondamentali dei più piccoli – e anche dei più grandi, fatte salve le differenze delle età – rispetto all’esperienza della scuola.
Lo si è detto in mille modi diversi e l’insistenza sull’importanza dell’apertura delle aule scolastiche ha sottolineato la questione: la scuola è principalmente relazione, contatto, scambio. Lo è per quanto riguarda lo studio, dal momento che a scuola si entra in relazione con mondi culturali, riflessioni, storia. Si entra in contatto con persone del passato e del presente, con esperienze e vicende che hanno costruito il nostro oggi. E così si scambiano, per una specialissima osmosi, vite e pensieri. Lo è, anche, fisicamente: relazioni tra compagni, tra generazioni, con adulti significativi. Contatti di vicinanza, fatti di abbracci e di spintoni, di giochi e di lotte. Scambi di cose e di affetti, di compiti e di libri e chi più ne ha più ne metta.
Questa è l’esperienza straordinaria della scuola “scuoleggiata” – mi si permetta il termine – della scuola sul campo, dove si mettono in gioco i bambini, i ragazzi, gli adulti e che non è interscambiabile con la didattica a distanza. Anche per questo motivo vale ed è stata forte l’attenzione, in questo tempo di pandemia, a preservare la necessità di tenere aperte e scuole. Poi, dove l’emergenza preme, si fa di necessità virtù.
In ogni caso l’esperienza del digitale – anche al di là delle ragioni sanitarie che ci coinvolgono tutti – può essere ben gestita all’interno della scuola. E, pur con limiti strutturali, diventare un’occasione di reale promozione. Tanti istituti si sono attrezzati e cercano di fare il meglio possibile.
Tuttavia il bambino che piange, nella foto della Cnn, è un monito a fare attenzione, a cercare sì le soluzioni digitali e tecnologiche migliori, le risposte più efficaci all’emergenza, ma insieme a non dimenticare mai loro, gli alunni e i bisogni che portano con sé.