Ogni lavoro è dignitoso se promuove la persona
Il 1° maggio apre il Giubileo dei lavoratori. Ma gli interrogativi sono molteplici: riguardano fra l'altro il lavoro giovanile e femminile, il valore degli stipendi (Italia maglia nera nel Rapporto Ilo), la sicurezza, la formazione professionale… Mentre Papa Francesco nella Fratelli tutti ricordava che “il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale”. Una riflessione del direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei

Tornare ai fondamentali anche sul lavoro? Pare un’urgenza. Prendiamo spunto da due casi. Il primo è il recente dibattito scatenato dall’aggiornamento dei codici Ateco introdotto dall’Istat, che riconosce la prostituzione come un lavoro a tutti gli effetti. Il tema non è solo italiano, se l’Oscar 2025 come miglior film è andato ad Anora di Sean Baker, meritevole, a detta di molti, di aver acceso i riflettori su un lavoro (nei locali del sesso a pagamento) non riconosciuto. Comunque sia, la vendita del corpo può essere considerata attività economica? Il corpo è una merce? Tanto più che la stragrande maggioranza delle donne costrette alla prostituzione sono vittime di sfruttamento e violenze. Spesso dietro a questa attività c’è sofferenza e solitudine. Può essere lavoro un’attività che oltraggia la dignità della persona?
Il secondo caso proviene dalla riconversione di aziende che sono in crisi nel business militare. Così alcune ditte dell’ottica si sono specializzate in mirini per armi ed altre sono incentivate a trasformarsi in settori ad alto potenziale di crescita, come la difesa e l’aerospazio. In parole povere, si intende produrre armi e favorire il mercato bellico. Anche qui non si può evitare la domanda: che lavoro è se produce morte e distruzione?
Il messaggio dei vescovi italiani per il 1° maggio dà una direzione:
“La responsabilità sociale d’impresa è oggi un filone sempre più consolidato grazie anche agli interventi regolamentari che impongono alle aziende un bilancio sociale e prendono le distanze da comportamenti furbeschi volti solo alla speculazione”. Ancora più esplicite sono le encicliche sociali di Papa Francesco, la cui memoria è indelebile. La Fratelli tutti ricorda che “il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo” (FT 162).
Dunque, cos’è lavoro?
La domanda assume un rilievo ancora più specifico nell’anno giubilare, che promuove la giustizia sociale attraverso il riposo della terra (Lv 25). Occorre salvaguardare la logica sabbatica perché l’uomo non è solo attività economica. Si sciolgono come neve al sole due dogmi dell’economia mainstream: “La proprietà privata è un assoluto” e “Il denaro non dorme mai”. Invece, la proprietà privata è esercizio di libertà al servizio della destinazione universale dei beni e l’idea che l’economia debba muoversi 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 calpesta l’umano, che ha bisogno di spazi di gratuità.
Ecco perché il lavoro va analizzato oggi nella sua complessità. Non basta trincerarsi dietro ai numeri che parlano di aumento dell’occupazione record in Italia (24 milioni di occupati), con una crescita negli ultimi cinque anni di oltre un milione di posti di lavoro. Preoccupa invece la qualità del lavoro e il fatto che le previsioni demografiche future non sembrano prevedere ampi margini di miglioramento. Vogliamo parlare della tragica condizione del lavoro giovanile? È in atto da tempo una fuga lenta che produce un’emorragia continua. Senza un ricambio generazionale il sistema pensionistico italiano rischia il collasso. Ma non se ne può parlare. Così inverno demografico, fuga all’estero, presenza di Neet e miopia nel gestire i flussi migratori stanno portando sull’orlo dell’abisso un Paese gestito da una classe dirigente in preda a paraocchi ideologici.
Le donne, inoltre, pagano in modo evidente le conseguenze delle ingiustizie di genere. La media dei loro salari è inferiore agli uomini del 20%. Nascere donna significa partire da condizioni di svantaggio acclamato.
Il Rapporto mondiale Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) vede l’Italia indossare la maglia nera circa i salari. Le crisi e l’inflazione hanno falcidiato gli stipendi, tanto che rispetto al 2008 hanno perso l’8,7% in termini di valore reale. Il lavoro povero è doppiamente ingiusto: limita il potere di acquisto delle famiglie e scoraggia l’amore per il lavoro. Non meno tragico è il dato circa la sicurezza: ogni giorno contiamo lavoratori che perdono la vita o subiscono incidenti. I dati Inail riferiscono che il bilancio delle morti sul lavoro in Italia per l’anno 2024 raggiunge le 1.090 vittime, con un aumento del 4,7% rispetto al 2023.
Il 1° maggio apre il Giubileo dei lavoratori. Cosa sperare?
C’è sete di “un’alleanza sociale per la speranza”, come suggerisce la Spes non confundit (n. 9). Ciascuno torni a fare la sua parte: lavoratrici e lavoratori, politica, sindacato, impresa, cooperative, associazioni di categoria, scuola, università, formazione professionale e ricerca devono remare tutti nella stessa direzione. La speranza è frutto di convergenze. Soprattutto, torniamo a chiederci cosa significhi lavorare. Non è tempo di scambiare lucciole per lanterne. Ogni lavoro è dignitoso se promuove la persona e le consente di esprimersi con creatività. Possiamo sperarlo?
Bruno Bignami