Opsa. Davanti al lutto ambiguo. Il percorso a Casa Madre Teresa
Casa Madre Teresa. Gli operatori sono stati coinvolti in un percorso, realizzato in collaborazione con l’Università di Padova, sul lutto nel mondo delle demenze
Si può parlare di lutto anche quando non c’è assenza definitiva della persona, ma la situazione che si vive ha la forma e le caratteristiche della perdita? Certo. In letteratura si parla proprio di “lutto ambiguo”: forme cioè di separazione che segnano la vita delle persone, i familiari in primo luogo, che vedono pian piano spegnersi una parte della persona, pur rimanendo vivo il corpo. Una perdita che coinvolge anche chi si occupa di queste persone, nelle strutture adibite alla cura.
Su questi aspetti è incentrato il percorso di formazione, unico nel suo genere, “Il lutto e le sue declinazioni nel mondo delle demenze” avviato a Casa Madre Teresa, centro polifunzionale di accoglienza e assistenza alle persone affette da deterioramento cognitivo e alle loro famiglie, all’interno del complesso dell’Opsa, l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio di Sarmeola di Rubano. «Un corso interessantissimo e molto valido – spiega Lorella Colcone, operatrice socio sanitario nel centro diurno, da 26 anni all’Opsa, 16 dei quali passati proprio a Casa Madre Teresa – Solitamente l’attenzione è puntata su familiari e cargiver, ma sono situazioni che viviamo anche noi. Quando ho sentito parlare di “lutto ambiguo” mi sono detta, ma come? Uno c’è o non c’è. In realtà: la persona c’è, ma non c’è in tutto il resto e quindi è stata una esperienza veramente bella. Quando arriva una persona nella nostra struttura, all’inizio ha la sua vita, qualche deficit, ma non così importanti. Impari a conoscerla. Poi piano piano comincia a perdere qualcosa. Noi diciamo che fa “uno scalino in giù”. Impossibile non affezionarsi, è lo stesso familiare che ti affida la persona e tu diventi parte della famiglia. E il vuoto di questa assenza particolare lo proviamo anche noi».
Non è una mancanza improvvisa, dall’oggi al domani, ma un lento progredire, che consente di rielaborare la perdita in maniera graduale. Non c’è soluzione, non ci sono miglioramenti, l’evoluzione della malattia, come ad esempio l’Alzheimer, porta a un peggioramento continuo. «Dal corso ho imparato ad apprezzare molto di più momento per momento, cogliere gli attimi – continua Colcone – I familiari ci raccontano le loro abilità, cosa sapevano fare. In realtà bisogna fermare il momento e apprezzare di più gli sguardi, la mimica facciale, come ti toccano, le cose piccole, capire come ti vedono loro, cosa ti lasciano dentro. Nella vita di tutti i giorni c’è frenesia, per superare questi lutti invece ci vuole calma, mettersi al loro passo». Gli operatori stringono un rapporto duraturo e abbastanza intimo con le persone malate, le seguono 24 ore su 24, curando l’igiene, la vestizione, l’alimentazione, anche per diversi anni, perché alcune entrano giovani, intorno ai 60-70 anni. Arrivano con dei ritmi, delle abitudini e nel tempo perdono qualcosa, ma si potrebbe dire che acquisiscono qualcosa di diverso, più rallentato.
«In struttura entrano delle persone che Alzheimer o demenze privano della loro personalità, vengono a mancare autonomie, uso della parola, gesti: si spengono dentro, ma la persona, il corpo c’è – aggiunge Debora Gilioli, anche lei operatrice socio sanitaria nel centro residenziale dove lavora da cinque anni – Non è sempre facile elaborare questa situazione, perché ti ritrovi ad avere a che fare con persone che hai conosciuto in un modo e con il tempo cambiano e devi cambiare anche tu e il tuo modo di rapportarti con loro. È un continuo adeguarsi alla situazione. La persona che c’era all’inizio non la ritrovi più. Si soffre insieme a loro. Ma dare un nome, lutto ambiguo, a questa perdita è stato molto interessante e utile. Elaborare il nostro vissuto col metodo della psicodrammaticità, con la partecipazione attiva, è stato abbastanza forte da un punto di vista emotivo. Voleva dire immedesimarsi in altre persone e far uscire il tuo, tirare fuori i sentimenti che di solito si trattengono dentro».
Fino alla fine
«Al corso abbiamo anche sperimentato la necessità di raccontare di chi non c’è più – spiega Debora Gilioli – e abbiamo scoperto che non è così scontato, sia per una perdita reale siaun lutto ambiguo, dove sperimenti lo spegnersi
graduale della persona e il tuo ruolo diventa quello di accompagnarla, nel miglior modo possibile, stargli vicino fino alla fine». Dove trovare la forza persuperare queste piccole graduali perdite? «Nella fede», risponde Lorella Colcone. «E poi devi amare il tuo lavoro– aggiunge Debora – Non ti devi aspettare nulla in cambio, ma semplicemente vivere empaticamente, dare serenità alle persone, che è quello di cui hanno bisogno».