«Venezia, appeal senza pari»

La riflessione del docente Francesco Sbetti: «In una realtà policentrica come quella del Veneto, abbiamo paura delle gerarchie. Invece dobbiamo capire che essendo "complicati", avere un centro ci rende più stabili, attraenti e resistenti alle sfide del futuro».

«Venezia, appeal senza pari»

«Partiamo da quello che abbiamo. Bisogna essere pragmatici altrimenti non produrremo nulla se continuiamo a inseguire il perimetro ideale. E le imprese e i servizi, al contrario, hanno bisogno di un progetto comune».
Di tempo se n’è perso già abbastanza e, per Francesco Sbetti, docente incaricato allo Iuav, continuare a spostare pedine sullo scacchiere strategico di quello che sarebbe dovuto essere il confine reale della città metropolitana in Veneto, è come dimenarsi nelle sabbie mobili: è controproducente per una realtà che, al contrario, ha bisogno di una spinta e di chiarezza.

Diversi studi, in effetti, hanno sempre individuato nel Veneto un ambito metropolitano con diverse geografie a seconda del punto di fuoco, si parli di mercato del lavoro o del fenomeno del pendolarismo, fino ai servizi avanzati: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel suo report del 2010, parla di un’area vasta che, pur inglobando Venezia, Padova, Treviso e lambendo Vicenza, era allo stesso tempo troppo grande e troppo piccola a seconda dei territori limitrofi: la Pedemontana o il Sud di Padova, per esempio, sono poco affini alla struttura geografica e di rete della medesima area.

Francesco Sbetti ricorda, però, un passaggio a suo dire “illuminante” della prima versione della Legge Delrio: i comuni, attraverso un atto volontario, potevano aderire o meno all’area metropolitana.
Nel caso specifico di Venezia, sia Padova, ma a cascata anche Abano e Montegrotto, avevano deciso di farne parte: «Era un principio interessante – spiega Francesco Sbetti – perché il Comune di Padova come quello di Treviso avevano capito che qui si sarebbe giocata la partita del futuro e sarebbe stato meglio esserci dentro. Anche Abano e Montegrotto, che vivono del mercato internazionale, avevano colto pienamente i flussi che l’appeal veneziano può richiamare.

Pensiamo a Londra: non facciamo distinzioni tra un comune che appartiene alla cinta stretta o meno. Ci vorrà del tempo, ma sono convinto che, senza perdere l’identità locale, capiremo che essere inseriti in una trama più grande è un beneficio per tutti».

La realtà dice, infatti, che al di qua o al di là del confine geografico, le relazioni umane e gli scambi commerciali sono nel dna di questa terra: i gruppi di multiservizio Veritas o Hera da tempo sono usciti dal loro territorio di origine, rispettivamente Venezia e Padova, perché solo ragionando su vasta scala hanno capito di poter davvero offrire al cittadino un servizio efficiente.
E i cittadini stessi sono già tutti “metropolitani”: si va all’Ikea di Padova per acquistare un mobile, o si studia all’Università di Venezia venendo da Treviso o dalla stessa Padova.

Ecco perché il piano strategico, il documento costituente della città metropolitana di Venezia che indirizzerà il cammino di sviluppo per i prossimi anni, non può non tener conto del dialogo e delle relazioni esistenti
«L’Ocse, nel documento di “territorial review”, aveva suggerito al Veneto quattro raccomandazioni e una di queste era sulla mobilità. Solo con una rete integrata e sostenibile si può crescere, ma su questo siamo ancora in ritardo con società che si accavallano senza una strategia e i cittadini che finiscono col prendere ognuno la propria auto. Se il piano strategico venisse costruito guardando al perimetro dell’area metropolitana questi problemi nemmeno esisterebbero: è un grave limite e una contraddizione».

Venezia, piattaforma per il Nordest

Senza dimenticare che, in termini logistici, Venezia ha il terzo aeroporto d’Italia i cui numeri sono in costante crescita vertiginosa, un porto strategico sia per il turismo sia per lo scambio di merci, un sistema di rilievo per le direttrici che incrocia. Insomma, è una piattaforma per la città allargata ma anche per il Nordest.

«Noi abbiamo un problema tipico italiano e veneto – è la riflessione del professor Sbetti – la paura delle gerarchie, la paura di dire che abbiamo bisogno di un centro. Pur difendendo il policentrismo, dobbiamo capire che, essendo appunto eterogenei e “complicati”, avere un centro coagulante ci rende più stabili e preparati alle sfide del futuro».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: francesco sbetti (1), delrio (3), ocse (6), piano strategico (2)