Anziani. Assistenza domiciliare e alloggi protetti, nessun passo avanti nel decreto attuativo

Oggi l’assistenza domiciliare integrata non supera le 17 ore ogni anno e nulla si dice degli alloggi protetti, dove si vive nello stesso stabile, ma ognuno a casa propria. Pesaresi (Network non autosufficienza): “Il decreto legislativo attuativo della legge delega 33/23? È una delega della delega”

Anziani. Assistenza domiciliare e alloggi protetti, nessun passo avanti nel decreto attuativo

Delusione per un decreto attuativo, che più che attuare rinvia a data da destinarsi la tanto attesa riforma della non autosufficienza. E che colpisce gli esperti più per le lacune che per i provvedimenti realmente in campo. Questo, in sintesi, il giudizio di Franco Pesaresi, direttore dell’Azienda servizi alla persona Ambito 9 di Jesi (An) e socio di fondatore di Network Non Autosufficienza (NNA) sull’approvazione, in esame preliminare, del decreto legislativo in materia di politiche a favore delle persone anziane, in attuazione della legge delega 23 marzo 2023, n.33. Redattore Sociale lo ha raggiunto per chiedergli una valutazione sul provvedimento che il governo ha emanato lo scorso 25 gennaio.

Dottor Pesaresi, perché tanto rammarico?

Perché non siamo di fronte a un vero decreto attuativo, come ci si attendeva, ma piuttosto a nuova delega alla legge 33. Anziché attuare la riforma, il decreto legislativo appena licenziato dal governo prevede l’emanazione di ulteriori 13 decreti. Insomma, dopo tanti mesi, siamo ancora a al punto di partenza.

Non c’è nulla di buono insomma?

La riforma è stata più che dimezzata, perché tra i punti delineati dalla legge 33 solo l’aspetto della valutazione della persona non autosufficiente viene trattato con un evidente approccio riformista. Sugli altri aspetti importanti – come il governo centrale del sistema, la residenzialità, la prestazione universale e la domiciliarità – o c’è un forte ridimensionamento di quel che era previsto nella legge delega oppure c’è un rinvio a decisioni future. Per esempio, la legge delega prevedeva un governo unitario del sistema da parte del ministero del Lavoro, del ministero della Sanità e dell’Inps per l’indennità di accompagnamento. Nei fatti, però, il governo del sistema è affidato unicamente al ministero del Lavoro, mentre il tema della non autosufficienza andrebbe affrontato in modo assolutamente integrato. Sulla residenzialità, invece, non ci sono novità, se non il rinvio a un ulteriore decreto che affronterà il tema degli standard strutturali e del personale. La situazione, poi, è particolarmente grave per quanto riguarda la prestazione universale, perché il decreto prevede di una sperimentazione di due anni, in cui verranno assististe meno di 30mila persone su 1 milione e mezzo di quelle che hanno oggi l’indennità di accompagnamento, senza dire nulla di quello che accadrà dopo. Ecco perché la delusione è così grande.

E sul fronte della domiciliarità?

Nell’ambito dell’assistenza agli anziani esistono oggi due grandi problemi: l’integrazione tra il sociale e il sanitario e la necessità di un’assistenza domiciliare tagliata sulle necessità della persona non autosufficiente, quindi con una durata e un’intensità rapportata ai bisogni effettivi dell’anziano. Mentre oggi, secondo i dati del ministero della Sanità, l’assistenza domiciliare integrata non supera le 17 ore annuali, una goccia nel mare. Quindi occorre adeguare la durata, che attualmente contempla solo qualche mese, e il numero di ore di assistenza necessarie. Nella legge, insomma, c’è sì attenzione al tema della domiciliarità e dell’integrazione, ma non ci sono novità. Tutto viene rinviato a un successivo decreto che fisserà le linee guida sull’integrazione socio-sanitaria applicata alla domiciliarità. Non vi è, invece, nulla sulla modifica della durata e dell’intensità, che era stata richiesta a gran voce anche dal Patto per la non autosufficienza.

Cosa ne pensa, invece, sulle nuove forme di coabitazione promosse dal decreto?

Per quanto riguarda gli alloggi per gli anziani la legge presenta un errore di impostazione. Si parla tanto di cohousing o housing intergenerazionale, intendendo nel primo caso alloggi dove è possibile accogliere anziani non legati da un vincolo di parentela e, nel secondo, modalità abitative dove, per fare un esempio, una persona anziana ospita uno studente universitario. Entrambe queste tipologie possono esistere, ma sono totalmente marginali. L’anziano fragile vorrebbe continuare ad abitare in una casa propria, dove vivere da solo o con il coniuge, se è ancora in vita. Manca, invece, totalmente la tipologia più diffusa al mondo, quella degli alloggi protetti. A differenza del cohousing la persona continua a vivere in un proprio alloggio, dove è possibile garantire una serie di servizi a domanda. Questo modello è pensato, in particolare, per persone sole che hanno bisogno di un livello di protezione più alto rispetto all’assistenza domiciliare, ma che possono vivere in un alloggio protetto senza andare in una casa di riposo. A Pesaro per esempio ne sono stati realizzati 150, mentre a Jesi ce ne sono una ventina. Si tratta di un’esperienza straordinaria di libertà e di autonomia, molto diffusa in altri Paesi come la Danimarca, dove vi vive l’11% degli anziani. In Italia questa tipologia abitativa dovrebbe essere valorizzata come alternativa alla casa di riposo, perché preserva l’autonomia dell’anziano, aiutandolo a rimanere nella propria abitazione, anche nel momento in cui diventa fragile.

Antonella Patete

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)