Beni confiscati. Bando dell’Agenzia per la Coesione territoriale, “un’occasione persa”

In una nota del Gruppo di lavoro permanente sul tema dei beni confiscati alle mafie istituito dalla Fondazione Con il Sud, la delusione per il mancato coinvolgimento del terzo settore. "Viene considerato un soggetto residuale. Il suo coinvolgimento è puramente eventuale”

Beni confiscati. Bando dell’Agenzia per la Coesione territoriale, “un’occasione persa”

L’Avviso dell’Agenzia per la Coesione territoriale per la valorizzazione economica e sociale dei beni confiscati alle mafie (che rientra tra gli interventi descritti nel Pnrr), rappresenta “un’occasione persa da due punti di vista: del considerare la valorizzazione come leva di sviluppo economico dei territori; e dell’opportunità di superare finalmente quella cultura politica che vede il terzo settore non come un attore di sviluppo ma come un soggetto residuale nel quale far convergere due debolezze: le incapacità del pubblico e le non convenienze del privato". È quanto si legge in una nota del Gruppo di lavoro permanente sul tema dei beni confiscati alle mafie istituito dalla Fondazione Con il Sud, cui partecipano l’Acri e il Forum terzo Settore. Il Gruppo, coordinato dal project manager Luigi Lochi, segue con continuità e con i necessari approfondimenti le questioni relative al sistema di valorizzazione e gestione dei beni. Rispetto all’Avviso dell’Agenzia per la Coesione territoriale (la cui scadenza è stata prorogata al 28 febbraio), che vede i Comuni unici titolati a presentare progetti di ristrutturazione dei beni, la nota si sofferma su alcune criticità. "Il coinvolgimento dei soggetti del terzo settore - si legge - è puramente eventuale, lasciato alla mera discrezionalità dei Comuni. Il Bando, in verità, non fa riferimento ai soggetti del terzo settore, ma ad un generico ‘coinvolgimento del partenariato istituzionale, economico e sociale e delle organizzazioni del territorio’.  Nel caso in cui i Comuni dovessero coinvolgere questo generico partenariato, in tempi peraltro ristretti, anche un non esperto di tecniche di concertazione comprende bene che si tratta di una semplice dichiarazione di intenti. L’eventuale sussistenza di questa circostanza rappresenta uno dei criteri generali di valutazione al quale viene assegnato un punteggio variabile, il cui ‘peso’, nell’ambito dell’insieme dei criteri generali di valutazione, non può comunque incidere oltre la misura del 20%". Le rassicurazioni del Ministro e del Direttore dell’Agenzia per la coesione non hanno convinto il mondo del terzo settore. “Di fatto si limitano a ribadire quanto già previsto nel Bando e nei suoi Allegati. Della indicazione espressa dal Pnrr nel punto M5C2, secondo la quale ‘gli interventi potranno avvalersi della co-progettazione con il terzo settore ai sensi dell’art. 55 decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117 (Codice del terzo settore)’ nessuna vera traccia. Se poi si vuole dire che la co-progettazione tra i Comuni destinatari dei beni confiscati e le realtà del terzo settore a cui questi beni vengono assegnati per la loro gestione si realizza tout court riconoscendo una premialità a quei Comuni che hanno già assegnato il bene ad un organismo non profit, si confonde la regola con l’eccezione.  La co-progettazione non è una mera rivendicazione di spazi e di ruoli da parte del terzo settore; essa vuol dire, in concreto, tenere insieme gli interventi di ristrutturazione con quelli di gestione". Poco convincente anche la decisione di indicare i Comuni come soggetti proponenti al fine di velocizzare la procedura. "La regola della co-progettazione - afferma il Gruppo di lavoro - sarebbe stata rispettata, senza per questo immaginare tempi più lunghi, se solo nel Bando fosse stato previsto l’impegno per il Comune della preventiva selezione del soggetto gestore e quindi del progetto gestionale di utilizzo del bene. In questo modo la regola della co-progettazione sarebbe stata praticata come condizione generale e non invece come condizione premiale e come tale, meramente eventuale". Un accento particolare è posto infine sulla questione della gestione del bene, da cui dipende l’effettiva fruizione da parte della comunità. “Il riferimento alla sostenibilità gestionale nell’ambito dei criteri specifici di valutazione - spiega la nota -, è inteso dal Gruppo di lavoro come un argine insufficiente al rischio di slegare gli interventi infrastrutturali sul bene dalle possibili attività di gestione dello stesso. Le esperienze, non certo positive, relative ai Pon Sicurezza dovrebbero insegnare”. Secondo il Gruppo di lavoro, infatti, "sono tanti gli immobili ripristinati in questi anni con i fondi comunitari del Pon Sicurezza e ormai in pieno degrado - si legge -, perché i relativi progetti hanno ignorato la concreta gestione del bene, vale a dire la precisa tipologia di attività che potevano essere svolte all’interno dell’immobile e la individuazione dei soggetti gestori. L’esperienza pugliese del bando Libera il bene, di qualche anno fa e ormai paradossalmente nel dimenticatoio nonostante evidentemente rivelatasi di successo - conclude la nota -, dimostra come il raccordo tra il momento dell’intervento strutturale di ripristino e quello gestionale di realizzazione delle attività sia condizione indispensabile per un uso efficace dei beni".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)