Case della comunità, ecco come funziona il "modello" Emilia-Romagna

Citata da Draghi nel discorso per la fiducia, la ricostruzione della medicina territoriale sarà un punto fermo del rilancio post pandemia. Al centro, case della comunità e centri di prossimità. In Emilia-Romagna si chiamano Case della salute ed esistono da oltre 10 anni. Che servizi offrono?  A chi? E con che risultati?

Case della comunità, ecco come funziona il "modello" Emilia-Romagna

“Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base: case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria. È questa la strada per rendere realmente esigibili i Lea e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata”. È anche con queste parole che Mario Draghi ha chiesto la fiducia alle Camere: la necessità di un cambio di passo, la spinta a rispondere a nuovi bisogni con nuovi strumenti. Ed è proprio a partire da queste medesime necessità che, nel 2010, la Regione Emilia-Romagna ha avviato il percorso per la realizzazione di una rete di Case della salute. A oggi sono 126. Luoghi di prossimità dove si concentrano professionisti e servizi e dove l’assistenza viene condotta attraverso l’azione congiunta dei medici di famiglia, dei pediatri, dei medici specialisti, degli infermieri, degli assistenti sociali, delle ostetriche, degli operatori socio-assistenziali, del personale allo sportello, delle associazioni di pazienti e di volontariato. Realtà da non confondere con i poliambulatori, perché nelle Case della salute i bisogni delle persone vengono raccolti a 360°: “Le persone, quando si rivolgono alle Case, espongono tutti i loro problemi e le loro necessità – spiega Fabia Franchi, Responsabile servizio assistenza territoriale della Regione Emilia-Romagna –. Quelli che possono essere gestiti nell’immediato, lo sono. Per gli altri, si intraprende un percorso di accompagnamento e supporto. Non solo a livello sanitario, anche sociale: pensiamo, per esempio, alla fragilità sommersa emersa in pandemia. Anche noi possiamo e dobbiamo intercettare quelle richieste”.

Le origini delle Case della salute

Tra i primi esponenti politici a parlare di Case della salute, Livia Turco, tra 2006 e 2008 ministro della Salute del governo Prodi: ne parlò proprio dopo avere visitato la nascente rete emiliano-romagnola. Quale fu l’esigenza che spinse alla progettazione di questa rete? “L’evidenza epidemiologica e demografica – sintetizza Franchi –. La popolazione sempre più anziana, l’aumento di patologie croniche, la necessità che in ospedale venisse gestita solo la complessità clinica elevata – rilievo tutt’altro che recente: l’Oms ce lo dice dal 1978 –. Ma anche i progressi della medicina, della scienza, della tecnologia: interventi invasivi necessitavano di ricoveri anche lunghi, interventi sempre meno invasivi ovviamente no. Come rispondere alle sempre più numerose cronicità con necessità di prestazioni costanti ma variabili a livello di intensità? Come rispondere a una società in cambiamento, con sempre più nuclei unipersonali? Era evidente la necessità di adeguare le nostre risposte ai nuovi bisogni”.

Spoke e hub

Da allora, sono 126 le Case della salute attivate in regione. Ci sono strutture a media/alta complessità assistenziale (hub) e strutture a bassa complessità assistenziale (spoke): generalizzando, è possibile dire che gli hub si concentrano nei grandi centri, gli spoke nei piccoli. Perché, pur tentando di standardizzare in chiave semplificazione, il posizionamento delle Case e i servizi offerti dipendono dal territorio: comunità montane, aree rurali, piccoli paesi. Alcune Case sono strutture preesistenti riconvertite, il cui eventuale spostamento sarebbe difficile da far comprendere alle comunità. Tutta la programmazione è sempre condotta con amministratori locali e cittadini, per capire, a partire dai bisogni espressi dai territori, di quali servizi dotare la struttura.
Ragioniamo, sempre, in termini di prossimità – sottolinea Imma Cacciapuoti, Referente Case della salute e cure intermedie del servizio assistenza territoriale della Regione Emilia-Romagna –. Tutti gli spoke garantiscono il coordinamento dell’équipe multisiciplinare: personale infermieristico e medico, ostetricia, supporto psicologico e assistenza sociale, servizi presenti ovunque. Negli hub, per esempio, è sempre presente il servizio per la salute mentale”.

L’utenza delle Case della salute

Concretamente, chi si rivolge alle Case della salute? La platea è ampia ed eterogenea. È il luogo della presa in carico delle cronicità, ma anche della medicina di iniziativa e della prevenzione. Ci sono consultori, è il punto di riferimento per le tematiche legate a famiglia, coppia, salute della donna, salute riproduttiva. E poi bambini, giovani e adolescenti. Salute mentale, psichiatrie. Ci possono essere i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta; negli hub è presente tutta la specialistica (dermatologo, cardiologo, nefrologo, neurologo, ecc). Alcune strutture – principalmente gli ex ospedali riconvertiti – includono anche hospice e quelli che vengono definiti “ospedali di comunità”, posti letto territoriali a disposizione delle équipe multidisciplinari per pazienti che non necessitano il ricovero ospedaliero

Una “Casa di comunità”

“Può anche chiamarci l’ospedale e comunicarci una dimissione della geriatria e la conseguente necessità di presidi sanitari o assistenza, magari riabilitazione – porta a esempio Franchi –. Noi allertiamo l’assistente sociale e gli infermieri, mettiamo in moto una macchina che possa garantire una risposta a tutto tondo. I passaggi intermedi, il coordinamento, lo facciamo noi”. “La Casa della salute non è un insieme di servizi – ribadisce Cacciapuoti –. Il valore aggiunto è che qui i professionisti prendono in carico tutti i diversi bisogni che una persona può avere”. La chiave è il coinvolgimento di tutte le risorse del territorio, affinché le Case siano davvero intese come “Case di comunità”, come le ha chiamate il premier. È in questa direzione che vanno le tante iniziative organizzate con le associazioni, le scuole e gli adolescenti, anche in un’ottica di peer education, soprattutto nell’ambito della prevenzione dell’uso e abuso di alcol e sostanze stupefacenti. “Vogliamo avvicinare sempre più la popolazione, perché la struttura non sia solo ‘della sanità’, ma di tutti”, sintetizza Cacciapuoti. Per farlo serve un nuovo approccio culturale, sia da parte dei cittadini, sia degli addetti ai lavori, “passaggio non facile né scontato – ammette Franchi –: spesso si è gelosi dei propri spazi. Le Case, invece, sono della comunità”.

Le Case della salute funzionano?

Le ‘conseguenze’ della presenza delle Case della salute sono state analizzate in studio dell’Agenzia sanitaria e sociale della Regione Emilia-Romagna. Ottantotto le strutture coinvolte, 2009-2019 il decennio di riferimento. Cosa è emerso? Dove c’è una Casa della salute si riducono del 16,1 per cento gli accessi al Pronto soccorso per cause che non richiedono un intervento urgente, percentuale che sfiora il 25,7 per cento quando il medico di medicina generale opera al loro interno. Contemporaneamente, calano (-2,4 per cento) i ricoveri ospedalieri per le patologie che possono essere curate a livello ambulatoriale, come diabete, scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva, polmonite batterica. Anche in questo caso l’effetto è maggiore (-4,5 per cento) se presente il medico di medicina generale. Nei territori serviti dalle Case della salute si è intensificata nel tempo (+9,5 per cento) l’assistenza domiciliare al paziente, sia infermieristica che medica. Nel periodo analizzato, in termini assoluti le Case hanno consentito, nella popolazione servita a livello regionale da queste strutture, di prevenire ogni anno mediamente circa 6.300 accessi in Pronto soccorso per motivi inappropriati e 250 ricoveri per condizioni sensibili al trattamento ambulatoriale; parallelamente, sono stati erogati 3 mila servizi di assistenza domiciliare in più.

Quanti sono i professionisti coinvolti?

Sono circa 1.900 i medici di medicina generale che operano nel territorio di riferimento delle Case, di cui oltre 500 a tempo pieno all’interno delle strutture. Per quanto riguarda i pediatri di libera scelta, sono 260 a lavorare nel territorio di riferimento, di cui 90 all’interno delle Case della salute. Queste strutture, inoltre, possono contare su circa 430 infermieri, 190 ostetriche, 60 assistenti sociali, a cui vanno aggiunti molti altri professionisti, come tecnici della riabilitazione, amministrativi, personale sanitario non medico e altro personale sanitario e tecnico. Le branche specialistiche prevalenti sono quelle previste nell’ambito dei percorsi assistenziali: cardiologia, oculistica, diabetologia.

Le Case della salute in pandemia

In emergenza sanitaria anche le Case della salute hanno dovuto riorganizzarsi: nell’impossibilità di visite e servizi domiciliari, si sono implementati telemedicina, telemonitoraggio e videosorveglianza dei cronici in carico e, in un secondo momento, anche delle persone positive al Covid-19. Oggi sono tra i punti in cui viene programmata la vaccinazione. Le somministrazioni di AstraZeneca da parte dei medici di medicina generale, per esempio, potranno avvenire qui. Ogni Azienda sanitaria locale ha uno o due grossi punti strutturati per gestire enormi flussi (in Fiera a Bologna, per esempio, possono essere somministrati fino a 1800 vaccini al giorno), ma sono necessari anche punti periferici, adatti ad accogliere piccoli numeri, persone sole, magari che fanno fatica muoversi.

La ripresa e il rilancio

E proprio nell’ottica di rilancio promossa da Draghi da cui siamo partiti, qual è il futuro delle Case della salute dell’Emilia-Romagna? “Implementare e consolidare – dichiara senza esitazioni Franchi –. Farci conoscere, promuovere quel nuovo approccio culturale di cui parlavo prima. E poi, investire sulla figura dell’infermiere di comunità e sulla telemedicina, due parole chiave del decreto Rilancio. Per farlo sappiamo di poter contare anche sui contenuti e sui fondi messi a disposizione dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza: finalmente si comincia a ragionare su standard nazionali”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)