Centro Senza Violenza, aumentano le richieste di aiuto di uomini maltrattanti

Il centro di Bologna ha registrato nel primo trimestre del 2020 un aumento del 125 per cento dei contatti. Creazzo: “L’aumentata precarietà economica, di cui soprattutto le donne sono vittime, rende molto più difficile intraprendere un percorso di uscita dalla situazione di violenza”

Centro Senza Violenza, aumentano le richieste di aiuto di uomini maltrattanti

“La violenza è sempre una scelta”. È questo il messaggio chiave che il centro Senza Violenza di Bologna, che attua percorsi di cambiamento per uomini maltrattanti, sceglie di sottolineare. Aperto nel 2017, durante i mesi di lockdown ha registrato un aumento delle richieste di aiuto, a differenza di quanto accaduto in altri centri antiviolenza rivolte alle donne che, secondo quanto emerso dal report del Centro nazionale delle ricerche, hanno registrato una flessione. Senza Violenza nel corso del 2019 ha raccolto una quarantina di richieste, sia di uomini maltrattanti che hanno chiesto aiuto, sia di altre persone (partner, avvocati e servizi sociali) a diretto contatto con uomini che usano violenza. Una quarantina anche i contatti registrati tra gennaio e luglio 2020. Complessivamente, quindi, da gennaio 2019 a luglio 2020 le richieste sono state oltre 80, e la lista d’attesa si è allungata.

“Facendo un confronto tra il 2019 e il 2020 non c’è stato un calo dei contatti. Anzi, tra gennaio e febbraio c’è stato un raddoppio della richiesta di aiuto (+125 per cento)”, sottolinea Giuditta Creazzo, co-presidente dell’associazione e coordinatrice del Centro Senza Violenza. Che continua: “Questo aumento ha diverse ragioni alla base: intanto una campagna di informazione che abbiamo realizzato a fine 2019 in collaborazione con l’agenzia Comunicattive di Bologna, un maggiore radicamento sul territorio, alcune novità normative introdotte dal cosiddetto Codice Rosso (la legge del 2019 che prevede l'introduzione di una corsia preferenziale per le denunce e le indagini riguardanti casi di violenza contro donne o minori, ndr) e forse anche il lockdown”.

Ecco, il lockdown. “Se è vero che le misure di restrizione della libertà personale non sono la causa che fa iniziare la violenza – perché la violenza ha radice in una relazione problematica e, in particolare, nella difficoltà di gestione costruttiva del conflitto all'interno della coppia – è anche vero che la diminuzione di spazi privati e l’impossibilità di allontanarsi da casa possono esacerbare e rendere esplosive situazioni già violente – sottolinea Gabriele Pinto, socio fondatore e psicoterapeuta –. Nei prossimi mesi ci aspettiamo, a livello sociale e generale, un possibile incremento degli episodi di violenza, ma anche una compressione delle domande di aiuto proprio a causa dell’impossibilità di avere della privacy”.

“Anche se la violenza – continua Creazzo – dal nostro punto di vista non è l’esito di una condizione situazionale come quella determinata dalle restrizioni imposte dal lockdown, perché ha origine in una relazione segnata da disparità dei ruoli, dal controllo e dal dominio. Ma, come dice Pinto, è anche vero che il lockdown esaspera le condizioni di vita normali. Senza dimenticare che “l’aumentata a precarietà lavorativa ed economica, di cui soprattutto le donne sono vittime, rende molto più difficile intraprendere un percorso di uscita dalla situazione di violenza.

Venendo ai dati registrati dal centro: il primo contatto, in larga maggioranza, viene direttamente dagli uomini che chiedono l’aiuto. Al secondo posto ci sono partner, familiari, amici e conoscenti (18 per cento); gli avvocati (13 per cento, in aumento nel 2020), gli operatori dei servizi sociali (9 per cento). Chi inizia un percorso con il Centro, spesso è in una relazione e la maggioranza ha figli. Poco più del 10 per cento è disoccupato. Un terzo ha origine straniera. L’età media è di 37 anni: “I nostri numeri sono piccoli, ma abbiamo osservato un aumento, nel corso del 2020, dei giovani tra i 18 e i 29 anni – osserva Giuditta Creazzo – . È un dato rilevante perché, prima di tutto, racconta una crescente sensibilità delle fasce giovani rispetto alla violenza di genere. Spesso, infatti, dietro un uomo che chiede aiuto c’è una donna. Inoltre, almeno ipoteticamente, se si interviene sui giovani c’è una maggiore possibilità di cambiamento”.

Nonostante questo – Creazzo e Pinto lo sottolineano – non esiste un “identikit” dell’uomo maltrattante: “Ogni situazione è a sé. Una manipolazione culturale diffusa è quella che tende a deresponsabilizzare il maschile, relegando le situazioni violente alla psichiatria. Questa narrazione distorta è stata smascherata – evidenzia Pinto –. La violenza non riguarda il censo o l’istruzione – la può agire il professore universitario, il libero professionista, come il dipendente di una fabbrica – e non è un problema psicopatologico”. Il percorso che gli uomini autori di violenza possono fare al centro è complesso e articolato: dura dai 9 ai 12 mesi, con sedute individuali e/o lavoro di gruppo e una fase di follow up a distanza di 3, 6 e 12 mesi: “Il nostro focus è sempre quello di rendere consapevole l'uomo della sua responsabilità e della possibilità di scegliere di agire diversamente”.

Medea Calzana

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)