Cittadinanza, la battaglia di Luca Neves. “Io, italiano, per lo Stato non esisto: sono irregolare”

Nato a Roma, cresciuto a Trigoria, ha vissuto per anni senza documenti, finendo nel limbo della burocrazia. Ha rischiato l’espulsione verso Capo Verde, il paese dei suoi genitori. “Che senso ha rinnovare il permesso di soggiorno nel paese in cui sei nato? Serve una nuova legge per noi figli di immigrati”

Cittadinanza, la battaglia di Luca Neves. “Io, italiano, per lo Stato non esisto: sono irregolare”

La tartare di zucchine aromatizzata al rosmarino, con burrata, alici e salsa al mango, è uno dei piatti forti della sua cucina fusion, in cui mescola sempre i sapori del suo paese, l’Italia, a quelli della terra d’origine dei suoi genitori, Capo Verde. Luca Neves è uno chef, nato a Roma, cresciuto a Trigoria, alle porte della Capitale e residente ora nel quartiere Appio Latino. Ma, formalmente, per lo Stato italiano non esiste, o meglio è un “immigrato irregolare”. 

“A Roma sono nato, schiavo di uno stato, sempre contro me e altri mille. Salva un cittadino che ti danno il documento ma poi a me non me lo danno, lo danno a te. Ma come mai? Questo accade mentre passa un altro anno”, canta Luca in una delle sue canzoni rap più note, La mia città. Ed è proprio il documento, o meglio l’assenza di un documento, il problema che lo ha costretto a rinunciare a diversi sogni, come viaggiare per partecipare a festival musicali europei o firmare un contratto di lavoro finalmente regolare. Tutto inizia negli anni 70 quando i genitori arrivano in Italia da Capo Verde. Il padre, Antonio, è un pescatore, inizia a lavorare nel porto di Nettuno per qualche anno. Poi si sposta alle porte di Roma, a Trigoria, come preparatore atletico per cavalli, in un maneggio poco distante dal campo in cui si allena l’A.s. Roma. Qui conosce chi diventerà sua moglie, e con cui avrà quattro figli, tutti nati a Roma. I due vivono e lavorano regolarmente in Italia con un permesso soggiorno.

I miei sono qui da 31 anni, hanno sempre pagato le tasse e lavorato regolarmente. I miei problemi sono iniziati quando sono diventato maggiorenne: in quel periodo mia madre si è ammalata gravemente, ed è morta qualche anno dopo - spiega -. Io, insieme ai miei fratelli, facevo di tutto per assisterla e assicurarle le cure migliori. E’ stato un anno terribile”. In quel periodo di sofferenza familiare, con la testa altrove, Luca decide anche di provare a fare richiesta di cittadinanza. Come tutti i ragazzi nati in Italia da genitori regolarmente residenti può farlo entro un anno dal compimento dei 18 anni, secondo quanto previsto dalla Legge 91/92. 

“Ero in ritardo di qualche mese, per mettere insieme tutti i documenti ci ho messo un po’. 
Ma avevo appena compiuto 19 anni e la legge è inflessibile - racconta -. A quel punto mi sono davvero sentito rifiutato e ho smesso di rinnovare il permesso di soggiorno. Che senso ha rinnovare il permesso di soggiorno nel paese in cui sei nato? Il mio estratto di nascita prova che sono nato all’ospedale regina Elena di Roma, è un documento che porto sempre con me e che vale più di qualsiasi altra prova. Ho fatto l’asilo e tutte le scuole qui fino all’alberghiero. Ho sempre vissuto qui, a Capoverde sono stato una sola volta in vacanza coi miei quando ero piccolo. Cosa devo dimostrare per essere considerato italiano?”.

Non rinnovare il permesso come forma di protesta, però, a Luca costa quasi un’espulsione. Nel 2012 arriva il primo foglio di via. Lo ignora, continua ad occuparsi della famiglia e fare quanti più lavori possibile, ovviamente in nero, perché non può essere assunto: “ho fatto il lavapiatti, il sous chef, il runner, il cuoco. Tutto per portare qualche soldo a casa”. 

Nel 2019 un’amica consiglia a Luca di regolarizzare la sua posizione, così il ragazzo prende un appuntamento all’Ufficio immigrazione di via Patini, periferia est di Roma. “Spiego la mia storia, va tutto liscio, mi dicono che posso avere il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Mi prendono le impronte per darmi finalmente il documento, quando dal database esce fuori che ho avuto il foglio di via. Così mi portano in una cella di sicurezza e mi dicono di aspettare, devono verificare l’anomalia”. 

Il rischio reale è di essere mandato a Capoverde, così Luca, dopo aver nascosto un cellulare nella tasca dei pantaloni, riprende la scena dall’interno della cella, invia il video agli amici e lo posta sui social. “Con me c’erano persone che avevano commesso reati, ma cosa c’entravo io? Sono rimasto lì 10 ore, poi grazie all’intervento del mio avvocato mi hanno rilasciato con un foglio in cui si dice che sono nato a Capoverde, non a Roma. Quindi ora sono davvero un immigrato”.

In soccorso arrivano anche gli amici: la mamma del suo produttore discografico, gli chiede aiuto e decide di regolarizzarlo come assistente familiare, secondo le norme previste dalla mini sanatoria del decreto Rilancio. “Io spero che per noi italiani, figli di immigrati, la legge cambi davvero un giorno- aggiunge -. Bisogna dare alle persone la possibilità di realizzarsi, di esprimere quello che hanno dentro. Non si può arrivare a 30 anni, come me, e dover ancora combattere con la burocrazia. Lavoro da 15 anni in cucina, suono e giro l’Italia con diverse band, ma resto un artista senza identità”. 

L’ultimo tentativo di riformare la legge sulla cittadinanza (n.91/92) risale al 2015, quando passò alla Camera il disegno di legge basato sullo ius soli temperato (cittadinanza alla nascita per i figli di migranti con carta di soggiorno) e sullo ius culturae (cittadinanza per chi arriva in Italia entro 12 anni e compie almeno un ciclo di studi nel nostro paese). La riforma, però, si è arenata al Senato, dove non è mai stata approvata in via definitiva. Nel frattempo, a complicare le cose, per chi cresce nel nostro paese, è arrivata la legge 132, che ha convertito i decreti sicurezza voluti dall’ex ministro Matteo Salvini, allungando da 2 a 4 anni i tempi di risposta per le richieste di cittadinanza per naturalizzazione (residenza di almeno 10 anni) e matrimonio. Sulla questione cittadinanza si sono riaccesi i riflettori con il recente scandalo legato all’esame di italiano B1 (previsto sempre dalla legge 132) del calciatore Luis Suarez. E sabato prossimo a Roma ci sarà una manifestazione per chiedere che si torni a parlare almeno di ius culturae. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)