Compiti a casa, questione irrisolta. Leggere, scrivere ed esercitarsi da soli sarebbe fondamentale per ogni allievo, ma quando è troppo?

Cosa decide o dovrebbe decidere dei compiti a casa? La buona pratica educativa e l’esperienza dei docenti

Compiti a casa, questione irrisolta. Leggere, scrivere ed esercitarsi da soli sarebbe fondamentale per ogni allievo, ma quando è troppo?

Compiti a casa. Per chi si occupa di educazione e di scuola siamo di fronte a un vero e proprio tormentone. Perché il tema dell’impegno di studio degli allievi fuori dalle aule scolastiche torna sistematicamente, con più o meno virulenza, soprattutto quando ci si trova di fronte a interruzioni dell’attività didattica più o meno lunghe.
Così, ad esempio, ecco che nei giorni scorsi è stato il Corriere della sera a rilanciare la questione, ospitando una interessante lettera/riflessione di un docente di materie letterarie.
L’aggancio della discussione è quello delle feste pasquali, cioè un periodo in cui per gli studenti le scuole sono chiuse e diverse famiglie si trovano a dover considerare un carico di lavoro “domestico” dei propri figli. In particolare – riflette la lettera – nella scuola primaria dove – così scrive il docente – “è ormai consuetudine assegnare compiti a casa per il sabato e la domenica; arrivando poi agli ultimi due anni del ciclo scolastico spesso vengono aggiunti anche durante la settimana per il pomeriggio, così da preparare alunni e alunne ai ritmi didattici del ciclo successivo”.
Interessante l’approccio della lettera, che considera come di fatto gli stessi alunni restino non di rado in classe per 8 ore al giorno dal lunedì al venerdì – un vero “orario di lavoro” – e questo tempo dovrebbe essere più che sufficiente “per portare avanti un percorso didattico adeguato, senza bisogno di ulteriori esercizi al suono dell’ultima campanella”. Considerato poi che la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo parla di “diritto al riposo e al tempo libero”, di impegno degli Stati per facilitare attività ricreativa e artistica, ecco che il “carico” extrascolastico sembra essere eccessivo.
Il problema non è da sottovalutare. In effetti già ricerche datate parlano di stress dei più piccoli, soprattutto in Italia. E i diversi orientamenti presenti nelle istituzioni scolastiche internazionali sono tali da mettere in discussione un modello basato sui tanti “compiti a casa”.
Tuttavia occorre trovare punti di mediazione tra quanti ritengono che tutto vada fatto in classe e quanti invece sostengono che sia indispensabile l’impegno individuale extrascolastico. Questo, in particolare, risulta spesso fondamentale per consolidare gli apprendimenti, soprattutto, dicono diversi esperti, nel momento chiave dello sviluppo linguistico: leggere, scrivere ed esercitarsi da soli sarebbe fondamentale per ogni allievo.
C’è una linea di demarcazione tra il necessario e il troppo? Dovrebbe esserci. E’ evidente che il sovraccarico non fa bene a nessuno. Così come è vero che anche all’interno dello spazio e del tempo scolastico si possono trovare momenti individuali e di esercizio: insomma i “compiti a casa” fatti a scuola.
E allora la questione torna all’inizio: cosa decide o dovrebbe decidere dei compiti a casa? La buona pratica educativa e l’esperienza dei docenti. Che sta tra l’altro alla base della tanto decantata autonomia scolastica.
Sono gli esperti del processo di insegnamento e apprendimento che possiedono le chiavi per risolvere il problema. Certo, con una attenzione specifica e non banale, consapevoli anche dei cambiamenti rapidi della società attuale che per esempio vede i più piccoli sempre più caricati di impegni, quasi si avesse tutti un po’ paura del “tempo vuoto”.
Qui sta il punto che rende la questione “compiti” non stucchevole: tornare ogni volta a domandarsi come agire e quali mezzi suggerire per la crescita migliore dei nostri ragazzi. Non c’è una ricetta unica. Vale la serietà della domanda.

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Fonte: Sir