Coronavirus, “nelle baraccopoli romane manca anche l’acqua. Ci sono bambini malnutriti”

A parlare è Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio. Nei campi non vivono solo rom, ma persone povere di qualsiasi etnia. “Non ci sono mascherine né guanti per tutti. Non ci sono controlli, il distanziamento sociale è impensabile. Ogni settimana distribuiamo 220 pacchi bebè, un quinto della popolazione 0-3 dei campi”

Coronavirus, “nelle baraccopoli romane manca anche l’acqua. Ci sono bambini malnutriti”

“Il problema principale nelle baraccopoli romane è il sovraffollamento. Nel ‘villaggio’ di via Candoni, per esempio, vivono 850 persone. Ci sono aree predisposte per accogliere 300 persone dove vivono in 600. È impensabile prendere in considerazione il distanziamento sociale. Ci sono container dove, in poco più di 20 metri quadrati vivono anche 7 persone. Non ci sono sufficienti dispositivi di protezione individuale, nessuno si è premurato di portare sin qui mascherine o guanti. In alcuni campi non c’è nemmeno l’acqua, in altri arriva saltuariamente con le autobotti. Che senso ha parlare di precauzioni per evitare il contagio in queste condizioni?”. Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio, tratteggia un quadro drammatico della situazione in cui vertono i campi romani, “dove ormai non vivono solo rom, ma tutte le persone, di qualsiasi etnia, in povertà assoluta. E sono tante”. I numeri parlano di oltre 6 mila persone in emergenza abitativa solo negli insediamenti monoetnici.

Come spiega Stasolla, l’emergenza abitativa ha fatto venire meno anche parte della solidarietà che ha sempre caratterizzato gli insediamenti: “Prima c’era un passaggio di beni da una famiglia all’altra, adesso per paura del contagio tutto si è bloccato. Perché sì, sono informati su quanto sta succedendo nel mondo, anche se in maniera parziale e superficiale. Quello che è certo è che sono spaventati e in ansia, questa pandemia aggiunge disagio al disagio”. Da 3 settimane l’associazione distribuisce in alcune delle baraccopoli più povere e più lontane dal centro della città, oltre il Gra, kit alimentari per i bambini della fascia 0-3: “I più piccoli sono senza dubbio la fascia di popolazione più in difficoltà: durante il monitoraggio di un mese fa per capire le esigenze e le emergenze, abbiamo trovato bambini malnutriti, intere famiglie disidratate. Chi si manteneva con lavoretti saltuari con l’emergenza sanitaria ha visto scomparire ogni fonte di reddito, e la situazione è drammatica”. La 21 luglio ha deciso di farsi carico di 220 bambini, “ma è una goccia nel mare: è circa un quinto dei bambini 0-3 presenti nelle baraccopoli romane”. Dal monitoraggio si è passati al confronto con una nutrizionista e una pediatra che, tenuto conto di eventuali intolleranze o allergie, hanno stabilito un’adeguata dieta settimanale in base alle fasce d’età: “Seguendo le loro indicazioni, prepariamo i pacchi e poi li distribuiamo, settimana dopo settimana. Non si tratta di un’azione spot: andremo avanti a sostenere le giovani mamme sino alla fine dell’emergenza. Tutto ciò è possibile solo grazie alle donazioni di privati (è stata anche lanciata una raccolta fondi online, ndr), perché qui l’amministrazione non si è mai fatta vedere”.

Poca o niente acqua, niente cibo. Nessun dpi, nessuna informazione né comunicazione ufficiale. “È tragico ammettere che, in queste condizioni, l’istruzione passi in secondo piano. Qui non c’è un problema di wifi o di connessione: qui manca il tavolino su cui fare i compiti, ma prima ancora il cibo da mettere sotto i denti. Provo dolore nel sostenere che, al diritto allo studio – diritto fondamentale – debba essere anteposto quello fisiologico all’alimentazione”.

Impossibile, in queste condizioni, sapere se ci sono stati dei contagi, per almeno due motivi: “In primo luogo, se qualcuno accusasse sintomi da coronavirus, si guarderebbe bene dal dichiararlo: verrebbe accusato di essere un untore, e isolato anche dalla sua comunità. Secondo, non ci sono controlli, ognuno si arrangia come può. È chiaro si tratti di bombe sanitarie che potrebbero esplodere da un momento all’altro. Va anche detto che nei campi vivono soprattutto persone giovani, con un’età media di 10 anni inferiore a quella del resto della popolazione. Ma, se prendessimo per buono questo ragionamento, chissà quanti positivi asintomatici potrebbero esserci”.

Per far fronte a questa emergenza, l’associazione nell’immediato chiede acqua e generi di prima necessità: “Sul medio periodo, invece, chiediamo il superamento di questi spazi, inadatti a ospitare persone, considerati ghetti e isolati dal resto del mondo. I loro abitanti devono essere accolti in abitazioni tradizionali che garantiscano il rispetto dei diritti umani”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)