Disabilità, povertà, isolamento: le famiglie italiane raccontano le difficoltà

Rilanciata presso l'Archivio Storico della Presidenza della Repubblica l'indagine di Cbm e Fondazione Zancan che ha coinvolto 272 persone con disabilità. Il 90 % riferisce disagio economico, ma solo il 10% chiede sostegni monetari. “E' l'isolamento che uccide”

Disabilità, povertà, isolamento: le famiglie italiane raccontano le difficoltà

Povertà, fatica, ma soprattutto isolamento: sono queste le difficoltà che emergono dalla ricerca "Disabilità e povertà nelle famiglie italiane", condotta da Cbm e Fondazione Zancan, presentata nei mesi scorsi e rilanciata ieri, presso l'Archivio Storico della Presidenza del Consiglio, nell'ambito del ciclo di seminari “La Pedagogia della Costituzione”. Un'occasione per ricordare i numeri che dimostrano lo stretto legame tra disabilità e disagio economico, ma soprattutto per dar voce ai genitori caregiver: due mamme, in particolare, che hanno condiviso le proprie esperienze a i loro bisogni, ma anche la propria determinazione a garantire ai propri figli una vita ricca e piena.

272 sono le persone con disabilità che hanno risposto al questionario somministrato nell'ambito dell'indagine: 57 di loro sono coinvolte anche in un'intervista qualitativa, durante la quale sono stati approfonditi vissuti e bisogni. Il 62% dichiara che la propria famiglia non sarebbe in grado di far fronte a una spesa imprevista di 500 euro. Due terzi delle famiglie non possono permettersi una settimana all’anno di vacanza lontano da casa, il 22% non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: questo accade soprattutto nel Mezzogiorno, alle famiglie che non fanno parte di associazioni per la disabilità, o hanno un basso livello educativo, o hanno genitori più giovani.
Un intervistato su 4 dichiara che, nei dodici mesi precedenti, si è trovato in arretrato nel pagamento dell’affitto, pari a quasi 6 su 10 di coloro che vivono in affitto. Più di 4 su 10, nell’anno precedente, hanno avuto arretrati perfino nel pagamento delle bollette. Una famiglia su tre, nell’ultimo anno, non ha avuto soldi per visite, medicinali o altre spese mediche.

Più ancora del disagio economico, pesano però solitudine e mancanza di supporti: poco più della metà delle famiglie degli intervistati (55%) può ricorrere all’aiuto di parenti non conviventi, il 41% conta sui volontari e il 29% su una rete amicale. Un quarto delle famiglie non ha nessuno su cui poter contare, il 70% è privo di rete amicale di supporto (materiale e immateriale) e il 55% non partecipa ad associazioni di supporto alla disabilità: quote che aumentano dove si registra un basso livello educativo. Nonostante il diffuso disagio economico, solo 9 famiglie su 10 chiedono non contributi finanziari, bensì servizi rivolti sia alle persone con disabilità sia ai familiari stessi.

“Non lasciateci soli”

Quanto pesino solitudine e senso di abbandono, lo dicono chiaramente le testimonianze di Chiara Perucatti e Francesca Mandato, le due mamma intervenute ieri, alla fine dell'incontro. Chiara ha due figlie con disabilità, Camilla e Benedetta. “Quando nasce un figlio disabile – assicura - la vita di tutta la famiglia si sconvolge: tutto cambia, c'è un prima e un dopo. Ti rendi subito conto che non hai e non avrai mai le stesse possibilità delle altre famiglia. Senti gli altri genitori, all'uscita di scuola, che si lamentano per la fatica di dover accompagnare i figli ad attività, mentre tu, con immenso dolore, devi portarlo tra una terapia e l'altra. Per non aggiungere dolore al dolore, piano piano ti chiudi in casa e, per difenderti, ti isoli nella tua prigione d'oro. Ma questo isolamento ti uccide. Noi famiglie disabili – così penso che possiamo definirci - non dobbiamo essere lasciate sole: abbiamo bisogno di aiuto, di essere accompagnate. Solo l'inclusione ci aiuta a sopravvivere alle difficoltà”.

Francesca Mandato vive ad Aversa e ha cresciuto da sola Nicola e Luigi, due ragazzi con autismo, che tra poco compiranno 20 anni. “, insieme ai figli Nicola e Luigi, due gemelli con autismo, che tra poco compiranno 20 anni. “Mi sono dovuta formare, sono diventata tecnico comportamentale, specializzata in comportamenti problema. Quando avevano 3 anni, è arrivata la diagnosi di autismo: non sapevo cosa fosse, non sapevo cosa fare, ho pianto tanto – racconta – Oggi mi chiedo dove abbia trovato la forza e dove la trovi ogni giorni: non me lo spiego. Non ho appoggi familiari, viviamo in un monolocale, ho continuato a lavorare, perché per portare un pasto a tavola serviva che lavorassi. Ero nella ristorazione: quando subentrò un'azienda che ci cronometrava, non ressi più: ho lasciato il lavoro. Ora passo da un lavoretto all'altro, spesso sottopagato, per in Campania, si sa, è così che funziona. Quando sei sola e senza aiuti familiari, diventa tutto più complicato. Luigi e Nicola frequentano il Liceo scientifico, un corso per pizzaioli, suonano la batteria, partecipano a un progetto di calcio. Ma devo pagare tutto, le progettualità convenzionate sono pochissime”.

E poi c'è la burocrazia, a rendere tutto ancora più complicato: “Con il passaggio dall'infanzia all'età adulta, l'autismo non è riconosciuto: si passa dalla neuropsichiatria infantile alla psichiatria, dove l'unica soluzione proposta è il farmaco. Io mi sono formata e riesco a gestire da sola i loro comportamenti problemi, a non ricorrere ai farmaci, Ma ci sono famiglie che non riescono a gestirli: così, tanti ragazzi con tante abilità sono curati con i farmaci. Se questi ragazzi sono aiutati bene, possono fare tanto e aprirci il mondo. Loro mi insegnano la vita tutti i giorni. Ma dobbiamo lottare sempre, anche a scuola, dove ci fanno storie per il diploma, ci propongono solo l'attestato, ma oggi il diploma serve per fare qualsiasi lavoro: senza diploma, che faranno?”. Interviene Nicola: “Noi ci proveremo, tranquilla”. Francesca sorride, si emoziona, guarda i suoi due ragazzi, più alti e grossi di lei: “Sì, lo so. E farete una gran bella figura”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)