Educatore, mestiere della vicinanza e del rischio. “Tutela e sicurezza siano priorità”

Apei ha realizzato un'indagine lampo sui rischi del mestiere dell'educatore, dopo l'aggressione di un'educatrice in una struttura a Roma. Intervista a Gianvincenzo Nicodemo: “Dobbiamo sederci a un tavolo, con tutti gli enti coinvolti: si possono ridurre i rischi, riorganizzando i servizi. Tanti educatori se ne vanno anche perché hanno paura”

Educatore, mestiere della vicinanza e del rischio. “Tutela e sicurezza siano priorità”

Un'educatrice è stata accoltellata da un ragazzo, all'interno della casa famiglia in cui lei lavorava e lui viveva. E' successo a Roma, i giornali ne hanno parlato, poco e male. Lei è fuori pericolo, lui è in carcere, accusato di tentato omicidio. Una tragedia nella tragedia, visto che il ragazzo ha sicuramente, come tutti i ragazzi che vivono in queste strutture, un vissuto difficile alle spalle e, ora, anche all'orizzonte. Chi sia lui, perché l'abbia fatto, chi sia lei, dove sia accaduto e di chi siano le responsabilità: non sono queste le domande che servono per capire. Quel che occorre fare è invece “aprire una riflessione seria sulla professione dell'educatore: una professione della vicinanza, più di ogni altra professione. E che in questa vicinanza trova la sua forza, ma anche la sua vulnerabilità”.

A parlare è Gianvincenzo Nicodemo, pedagogista ed educatore professionale socio - pedagogico; una grande esperienza sia in ambito professionale che come ricercatore negli ambiti delle professioni educative e sociali. A lui l'Apei, Associazione pedagogisti ed educatori italiani, ha chiesto di realizzare una “rilevazione lampo sulla sicurezza degli educatori professionali socio-pedagogici e dei pedagogisti in comunità”. Hanno risposto 74 educatori professionali socio-pedagogici, provenienti da 15 regioni italiane. A lui Redattore Sociale ha chiesto di commentare la notizia e di presentare i primi dati dell'indagine.

“Innanzitutto, negli articoli pubblicati sulle varie testate non si parla mai di educatrice, ma di assistente sociale, o di operatrice. E questo è emblematico della percezione e del riconoscimento sociale di questa professione, che più di ogni altra professione sociale si fonda sulla vicinanza. Proprio la vicinanza, che è la forza di questa professione, al tempo stesso la espone e la rende vulnerabile e difficile da proteggere. Vicende come questa accadono molto più spesso di quanto non si immagini: le aggressioni agli educatori sono frequenti, per fortuna non sempre sono così violente, ma sono un rischio connesso alla professione. Stare da soli la notte in una struttura per persone fragili o disagiate è di per sé una situazione di rischio, tanto più per una donna. E dobbiamo tenere presente che la nostra professione è al 93% femminile. Il rischio può però essere ridotto con una diversa organizzazione dei servizi e una seria riflessione, da parte di tutte le istituzioni coinvolte, su come gestire le emergenze.

Esiste una formazione specifica su questo?
No, dalla rilevazione di ieri emerge che il 60% degli educatori ha ricevuto una formazione in materia di sicurezza sul lavoro, ma solo nel 20% dei casi questa formazione era specifica sulla gestione di eventi critici comportamentali da parte di utenti, familiari, soggetti esterni. Manca quest'attenzione nell'organizzazione dei servizi ed è necessario costruirla.

Come avete realizzato l'indagine?
Abbiamo costruito un questionario pensato su chi lavora in comunità residenziali per diverse tipologie di utenti, perché nella residenzialità c'è il problema delle notti. Dobbiamo precisare però che, anche nei servizi diurni, esiste una componente di rischio che non deve essere sottovalutata. Hanno risposto 74 educatori professionali socio-pedagogici, provenienti da 15 regioni italiane, l’84% dei quali sono femmine e il 16% maschi La fascia di età prevalente è quella dai 30 ai 40 anni (circa la metà dei questionari), seguono la fascia di età inferiore ai 30 anni (25% dei questionari) e quella 41 – 50 anni (21 % dei questionari). Solo l’8% dei questionari sono stati compilati da educatori e pedagogisti con più di 50 anni.

Cosa è emerso?
Innanzitutto, che le violenze sono più frequenti di quanto non si immagini: il 17% degli intervistai ha dichiarato di aver subito aggressioni fisiche negli ultimi sei mesi. Tra gli intervistati, il 56% ha indicato di restare da solo o sola nel servizio spesso o sempre, e il 41% ha dichiarato di aver fatto questa esperienza spesso o sempre di notte. Più di un terzo degli intervistati ha dichiarato di aver subito aggressioni verbali da utenti o familiari. Un aspetto che l’indagine ha voluto evidenziare riguardava l’utilizzo dei social, che può costituire un elemento di pericolo per gli operatori sociali: il 26% degli educatori ed educatrici intervistate hanno dichiarato di sentirsi violate nella propria privacy, quando si trova al di fuori del proprio ambiente di lavoro ma per fatti connessi con il lavoro. Un elemento di grande preoccupazione sono le aggressioni fisiche che vengono lamentate con grande frequenza rispettivamente dal 13 % (ricevono spesso aggressioni fisiche) di coloro che hanno partecipato alla rilevazione lampo e dal 4 % (sempre).

Un problema diffuso, insomma?
Molto più di quanto non si creda. Ed è per questo che dobbiamo farcene carico al più presto, con una riflessione insieme a sindacati, imprese e con tutte le istituzioni coinvolte nell'organizzazione dei servizi, dai ministeri ai comuni, passando per le regioni. Sappiamo che c'è un problema di risorse, ma il rischio può essere ridotto anche senza grandi investimenti. Faccio un esempio: se per una comunità alloggio si indica la necessità di cinque operatori, la compresenza è possibile solo poche ore al giorno. Dobbiamo porci il problema della sicurezza come prioritario. O gli educatori saranno sempre di meno

C'è una relazione, quindi, tra mancanza di sicurezza e scarsità di educatori?
Certo: la mancanza di sicurezza è un pezzo del motivo per cui gli educatori “scappano”. Abbiamo circa 10-12 mila laureati l'anno, ma la gran parte di questi va a fare un altro lavoro: colpa della retribuzione misera, certamente, se pensiamo che in Campania ci sono educatori che guadagno 600 euro al mese. Ma colpa anche della consapevolezza dei rischi: sediamoci intorno a un tavolo e facciamoci carico del problema. Facciamolo presto, perché gli educatori hanno bisogno di riconoscimento socio economico, di tutele e di sicurezza, per poter garantire servizi di cui, lo ricordiamo, la nostra comunità non potrebbe fare a meno.

I dati completi dell'indagine saranno presentati in conferenza stampa il 17 maggio alle 17.30 dal presidente di Apei Alessandro Prisciandaro su 

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Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)