Eppure sentire. La storia (in parte vera) di Silvia, sorda dalla nascita
L’autrice bassanese Cristina Bellemo firma il romanzo arrivato, a maggio scorso, al secondo posto del Bancarellino, la sezione di narrativa per ragazzi del premio Bancarella
A Pontremoli a maggio, ad aggiudicarsi il secondo posto del prestigioso Bancarellino, dopo Pusher di Antonio Ferrara che racconta di Tonino, appena tredici anni e spacciatore in un sobborgo di Napoli con un destino già segnato dalla camorra, è stato Eppure sentire della scrittrice bassanese Cristina Bellemo, edito da San Paolo (14,50 euro).
La storia è della quindicenne Silvia che, a causa di un incidente, perde anche quel residuo di udito che aveva. La decisione che l’attende, l’operazione chirurgica, la mette di fronte a un bivio: continuare a “sentire” come solo lei, sorda, sa oppure aprirsi a un nuovo, altro modo di percepire i suoni, la vita.
«È stato un coronamento per me che cerco sempre il contatto con i lettori – racconta la scrittice, per anni collaboratrice della Difesa – Avere lì poi gli studenti di 25 scuole medie da ogni parte d’Italia che dalla cinquina hanno decretato il vincitore è stato un dono grande. Quella Cenerentola della scuola media, come spesso viene trattata, ha dimostrato un enorme consapevolezza e una sapienza critica nel valutare le storie».
Quindi i ragazzi si salvano davanti alla lettura. Non sono soltanto telefonini e bullismo come li dipinge il più classico degli attuali cliché.
«Io ho trovato oltre mille giovanissimi rispettosi della piazza, che si facevano firmare le braccia dagli autori e con una reverenza rara verso i libri che hanno amato, pieni di stupore verso chi scrive storie per loro».
Chi è Silvia?
«Una ragazza di Breganze che mio fratello allenava a pallavolo. Sono partita dalla sua storia, vera, per parlare con il romanzo di un tema che mi sta a cuore da tempo ormai: la capacità di ascoltare che stiamo inesorabilmente perdendo se non facciamo qualcosa. Quanto l’ascolto dell’altro può essere salvifico? Oggi è un’arte non più praticata… Nutriamo un horror vacui di fronte al silenzio, un senso di colpa profondo se non corriamo costantemente, se non siamo perennemente connessi».
Quale messaggio si eleva dal romanzo?
«Ognuno ha una storia che deve essere ascoltata per dare dignità a se stesso. Ognuno ha un suo modo di sentire e va cercata la giusta sintonia, la stessa lunghezza d’onda con l’altro. Il protagonista del mio libro potrebbe essere chiunque a cui chiediamo di adeguarsi al “nostro” modo di essere e di sentire: un bambino, un figlio, un anziano, un disabile, un migrante… perché tendiamo a uniformare tutti. È più facile così al posto di ascoltare cos’hanno da dire per dirci chi sono».
Silvia, che si stava preparando per la maturità classica, c’era a Pontremoli. Ha atteso silenziosa, finché – a votazioni concluse – non l’hanno chiamata sul palco. È salita, si è sintonizzata con i ragazzi che aveva davanti a sé e non ha avuto paura di raccontare cosa sentono le sue orecchie.