Green e senza barriere, ecco il bello del golf

Chi lo pratica lo definisce il gioco più bello del mondo. Ma è soprattutto uno sport dove le distinzioni tra atleti normo e atleti disabili sono al minimo. E se non ci credete, non vi resta che provare

Green e senza barriere, ecco il bello del golf

ROMA - Ci sono sport che sanno essere tante cose insieme, che sono in grado di coniugare al meglio attenzione per la persona, cura per l’ambiente e rispetto per l’avversario. Chi lo pratica lo definisce il gioco più bello del mondo, un’idea, questa, che nasce da una convinzione precisa: se lo provi, poi difficilmente lo abbandoni. Ma il golf, per una persona disabile, è tutto questo e anche molto di più, perché è soprattutto pretesto per una piena e sana inclusione, terreno privilegiato per l’abbattimento di qualsiasi tipo di barriera, sia essa fisica o mentale, strumento per diffondere una cultura della normalità che lo sia nei fatti, oltre che a parole. Ne parla, sulle pagine di SuperAbile Inail, Stefano Tonali.

In Italia sono circa 50 i golfisti disabili che stabilmente prendono parte a gare a carattere nazionale. Alessandro Rogato è il direttore tecnico delle squadre nazionali Fig (Federazione italiana golf) e da un anno commissario tecnico del settore paralimpico: "Da quando mi sono avvicinato a questo settore ho scoperto un mondo che si presta particolarmente all’inclusione. A differenza di altre discipline, in cui una persona amputata difficilmente può colmare il gap con un atleta normo, nel golf, con le protesi che si utilizzano oggi, una persona disabile può giocare alla pari con gli altri. Se poi parliamo di disabilità più gravi, il paragolfer (speciale carrozzina motorizzata) rappresenta qualcosa di straordinario, perché permette ai golfisti che non sono in grado di reggersi sulle proprie gambe di alzarsi e giocare in posizione eretta. Al momento ne abbiamo a disposizione uno, che portiamo in giro per l’Italia e che assiste gli appassionati di questo sport, ma il costo di questa speciale carrozzina, circa 15mila euro, è ancora molto alto".

Come ogni anno la Fig è alle prese con l’organizzazione dell’Open Disabili, che quest’anno dovrebbe svolgersi a Parma nel mese di maggio. Un evento in grado di accogliere golfisti provenienti da tutto il mondo e con tipi diversi di disabilità. "La novità più importante di questi ultimi tempi riguarda la nomina di un responsabile dell’attività paralimpica, Edoardo Biagi, che sta svolgendo un lavoro incredibile. Lui, golfista disabile, è un esempio per passione e forza di volontà. Attualmente sta girando l’Italia per scovare persone che, nonostante abbiano una disabilità, non la dichiarano. Con grandissimo entusiasmo, sta lavorando per coinvolgere quanti più atleti possibili".

"Il mondo della disabilità sportiva, e del golf in particolare, si scontra spesso contro la reticenza a dichiararsi tali", osserva Edoardo Biagi. "Nei circoli abbiamo difficoltà a individuare le persone disabili, un po’ perché non indicato da loro stesse, un po’ perché non specificato dai club. Con Alessandro Rogato e l’intera federazione stiamo lavorando per far capire a queste persone che esiste un settore apposito per il golf paralimpico e che, soprattutto, un atleta disabile può concorrere alla pari con i normo, con la sola differenza che noi abbiamo bisogno di alcuni ausili, siano essi paragolfer, kart o la guida per una persona non vedente".

Per far crescere il movimento dal punto di vista tecnico, nei prossimi mesi, sono in programma una serie di raduni. Non solo collegiali, però, perché un’importante novità riguarda la possibilità di assegnare agli atleti disabili una wild card per prender parte a gare nazionali Fig, "il che permetterà loro di crescere ma anche di dimostrare, a chi assiste alle gare, la capacità che tante persone disabili hanno di non arrendersi mai".

Uno che non si è certo arreso è Stefano Palmieri, toscano di Follonica, uno dei giocatori più rappresentativi del golf paralimpico italiano. Il 12 agosto del 2002, a causa di un terribile incidente stradale, Stefano perde la vista. Diciassette ore di sala operatoria, un mese di riabilitazione, quindi la nuova vita. "Non riuscivo a immaginare la mia esistenza da non vedente", ricorda. "Due mesi prima, oltretutto, avevo perso mio padre. Non nego di aver pensato a gesti eclatanti, ma poi ho deciso di tornare a vivere e, ringraziando il cielo, è stata la scelta più giusta. Ho cominciato a correre, quindi a praticare nuoto e, infine, dopo aver conosciuto la storia di Andrea Calcaterra, golfista non vedente, mi sono avvicinato a questa disciplina".

Per Stefano il golf ha rappresentato una vera sfida: quella di tornare a vivere ma non come una persona normale, bensì come uno che vive la sua vita pienamente. "Volevo dimostrare che non ero un povero ragazzo rimasto non vedente, ma essere d’insegnamento per tante persone", prosegue. "Nel 2010 ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie, abbiamo avuto un figlio, quindi ho deciso di rimettermi in gioco anche attraverso lo sport, provare qualcosa che mi desse adrenalina. Simone Micciarelli, maestro del Circolo Golf Toscana, ha raccolto questa sfida. I primi tempi sono stati duri, anche perché il golf è uno sport difficile, ma tenacia e voglia di venir fuori a testa alta non mi sono mai mancati e così, allenamento dopo allenamento, ho iniziato a migliorare". Ha cominciato a gareggiare nel 2012, subito con risultati incoraggianti. Nel 2015 è arrivato il primo successo all’Open d’Italia, mentre un anno più tardi si è aggiudicato l’Open del Giappone, traguardo mai raggiunto prima da un italiano. Nel 2017 ha vinto il British Open e l’English Open. "L’anno si è chiuso con un premio a me molto caro, conferitomi a Roma, in Campidoglio, per i valori umani e di resilienza che sono riuscito a trasmettere non solo a livello golfistico ma anche dal punto di vista umano".

"A una persona disabile consiglierei il golf perché permette di gareggiare con i normo in maniera libera e divertente", continua, "perché ti mette in condizione di avere un contatto con te stesso. Il mio amico buio, in questi anni, mi ha insegnato che bisogna guardare meno a quello che ci spaventa e farsi guidare più dal cuore e dall’anima. Dico sempre che ho avuto due vite", conclude: "una prima dell’incidente, quando svolgevo il lavoro di parrucchiere, la seconda dopo quel giorno di agosto del 2002. Ma oggi vivo sereno la mia disabilità, senza quegli stereotipi che gli occhi ti possono dare".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)