I primi 20 anni della Fondazione Fontana: la comunità impressa nel dna

È uno dei frutti migliori della Chiesa di Padova. Nata per sostenere la missione in Kenya, oggi in autonomia opera nella cooperazione internazionale, nell'educazione a una cultura di pace, partecipazione e cittadinanza attiva per un mondo migliore.

I primi 20 anni della Fondazione Fontana: la comunità impressa nel dna

Sullo sfondo voci africane. Pierino Martinelli è in ufficio al San Martin di Nyahururu, a 200 chilometri da Nairobi in Kenya, quando "alza la cornetta" luminosa sul display del telefonino. È appena rientrato dall'entroterra dove ha incontrato persone con problemi di alcol e droga seguite dai programmi del centro, nato nel 1997 su impulso del fidei donum della Diocesi di Padova don Gabriele Pipinato, per stare accanto alle persone più vulnerabili (disabili, donne, bambini, persone con disagio psichico e sociale...) e aiutarle ad avere gli stessi diritti di tutti gli altri. Il Saint Martin è il progetto più importante di cooperazione internazionale sostenuto dalla Fondazione Fontana che, proprio in questi giorni, festeggia vent'anni di pensiero, lavoro, esperienza e azioni concrete per un mondo migliore, più giusto, più solidale. 

Qual è il senso di questo ventennale?
«Ci serve per guardare alle radici da dove è partito tutto e rivedere quanto è stato possibile realizzare grazie a chi ha voluto unirsi alla nostra strada, camminando con noi».

Come definirebbe con una parola la Fondazione?
«Un connettore di realtà, perché non può agire da sé: nella comunità si genera la sua forza d'azione per un mondo che dia le stesse opportunità a tutti. Ad esempio, il percorso culturale della World Social Agenda, da quando è partito nel 2000, ha attratto oltre 150 partner. Come dice un proverbio africano: "Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai con gli altri" e questo senso profondo della comunità ci viene dal Saint Martin che lo ha reso il suo motto: "Only through community", solo attraverso la comunità. L'Italia ha molte risorse, pur con le sue tensioni e i suoi problemi, ma manca oggi il senso di appartenere a un gruppo con gli stessi valori, capace di guardare oltre il proprio benessere individuale».

Qual è uno dei frutti più belli di questi vent'anni?
«È difficile fare classifiche. Forse quello più inaspettato è la Pietra scartata, che ogni anno riflette sulla debolezza come risorsa e non come problema. Il successo dell'evento, un teatro pieno ogni anno in primavera, è arrivato e continua, senza averlo atteso».

Come convivono le due anime della Fondazione, per metà padovana e per metà trentina?
«Io stesso, che vado e vengo da Padova e Trento ogni giorno da dieci anni, ne sono la sintesi. In questo modo ho la fortuna di frequentare entrambe le città e mi sono costruito un'idea precisa. Padova e Trento condividono origini comuni: l'operosità, la fedeltà al lavoro della terra, ma oggi rischiano di perdere la consapevolezza di questa ricchezza... Quando i nostri anziani erano poveri, si faceva solidarietà nelle parrocchie per chi partiva per la missione. Ora che stiamo meglio, crediamo di non riuscire a permettercelo. Eppure siamo più ricchi di allora».

Negli ultimi anni la Fondazione Fontana ha "donato" persone che hanno scelto di servire la propria città impegnandosi in politica, come il vicesindaco di Padova Arturo Lorenzoni, già presidente della Fondazione, e Francesca Benciolini, assessore alle risorse umane e al decentramento nei quartieri.
«E non è finita. Piergiorgio Cattani, direttore responsabile di Unimondo.org, ha deciso di sospendersi dalla direzione per candidarsi alle prossime elezione della Provincia autonoma di Trento. Se venisse eletto, e me lo auguro di cuore, un altro di noi avrebbe la possibilità di "portarsi via" un pezzo di Fontana da condividere con la società. Oltre a loro, tanti giornalisti sono passati per la redazione del portale da giovani e oggi hanno il compito di scrivere per Reuters, France press... Tutti hanno trovato in Fontana un luogo dove coltivare la propria sensibilità e imparare a lavorare insieme sul lungo periodo».

Come continua dopo due decadi il legame con la Diocesi di Padova?
«La Fontana è stata fondata da don Gabriele, mentre era fidei donum in Kenya, ed è stato mons. Giovanni Nervo a suggerire di perfezionarla perché fosse indipendente, pur conservando nel dna la Chiesa di Padova. La Fontana, che si riconosce nel Vangelo, è da sempre accanto alla Diocesi attraverso la Caritas, il Centro missionario, la Pastorale sociale e del lavoro. Credo che la chiesa locale abbia bisogno di coltivare relazioni con chi le ruota attorno e le nostre comunità cristiane abbiano bisogno di riscoprirsi nel loro immenso valore umano. Se non ci fossero, anche la Fontana faticherebbe a portare avanti la sua opera e il suo messaggio».

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