In Basilicata oltre 2 mila braccianti “in condizioni inumane”. Ricorso alla Corte europea

La denuncia dell'avvocato Angela Bitonti, presidente dell'Adu. “Vivono in casolari abbandonati, senza porte né finestre, con bombole del gas pericolose e cumuli di spazzatura: discariche a cielo aperto su territori comunali. Confidiamo nella Corte europea”

In Basilicata oltre 2 mila braccianti “in condizioni inumane”. Ricorso alla Corte europea

“Sono circa 2 mila, concentrati soprattutto nel metapontino e nel Vulture Melfese. Vivono in condizioni inumane, in casolari abbandonati senza porte né finestre, con bombole del gas e materassi luridi, circondati da cumuli di spazzatura che nessuno smaltisce”: a denunciare a Redattore Sociale la situazione dei braccianti agricoli della Basilicata è l'avvocato Angela Bitonti, presidente dell'Associazione diritti umani (Adu), che insieme alla vicepresidente Sonia Sommacal ha recentemente presentato ricorso alla Corte europea per i diritti umani.

“In Basilicata siamo alle prese ogni anno con la stessa situazione, che non è mai cambiata e non accenna a cambiare, sebbene sia ben nota alle istituzioni. Anche quest'anno, i braccianti sono arrivati e lavorano, soprattutto nelle zone del metapontino e del vulture meltese. Molti arrivano nella stagione della raccolta, da maggio-giugno fino a ottobre. Parliamo di circa 2 mila persone complessivamente, secondo le stime delle associazioni del settore. Si stanziano in casolari abbandonati, specialmente nel ghetto di Boreano (PZ), dove ci sono casolari della riforma agraria abbandonati: vivono senza luce, senza acqua, senza porte né finestre, senza arredi, con materassi luridi appoggiati sui pavimenti, con fornelli e bombole del gas molto pericolose, qualche barile d'acqua che trasportano dalle fontane e soprattutto cumuli di spazzatura adiacenti ai casolari. Parliamo di tonnellate di rifiuti, vere e proprie discariche a cielo aperto, che insistono su territori comunali e che nessuno si preoccupa di smaltire, mettendo così a rischio la salute di queste persone, ma anche dei cittadini. Questo significa che c'è anche un problema ambientale, oltre a un problema di accoglienza e di diritti. Questa situazione è ben nota all'amministrazione pubblica regionale e questo, dal nostro punto di vista, ne aggrava la responsabilità”.

Ma di che tipo di responsabilità parliamo? “Innanzitutto politica, perché la legge regionale 13/2016 e altri atti normativi regionali prevedono, in materia di accoglienza, l'eliminazione dello sfruttamento e dei ghetti e dispone che ogni due anni il Consiglio regionale approvi un piano di programmazione. Dal 2016 a oggi, questa legge è inattuata. In assenza di una programmazione, è chiaro che qualsiasi intervento si possa fare, sia pure minimo, resta inefficace. Per esempio, ogni anno viene aperto un centro di accoglienza per circa 200 persone, che non risolve affatto il problema,. La soluzione deve infatti essere radicale, come prevedono le norme nazionali e internazionali. Noi riteniamo anzi che l'apertura di questi centri di accoglienza rappresenti un inutile dispendio di denaro pubblico”.

Accanto alla responsabilità politica “e all'inefficienza e l'inefficacia dell'amministrazione pubblica, c'è anche una responsabilità giuridica – continua Bitonti – perché l'Italia ha sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, tra cui il diritto alla vita e alla salute. Entrambi questi diritti sono a rischio, in questi insediamenti insalubri in cui cui queste persone sono costrette a vivere. L'articolo 3 della Convenzione prevede che nessuno sia sottoposto a condizioni disumane, ma le condizioni di questi braccianti sono ai limiti della disumanità e determinate da omissioni dello Stato”.

Sono queste le ragioni fondamentali del ricorso presentato e di altri che l'Adu sta predisponendo, “ma è mortificante aspettare che la Corte europea si pronunci, condannando qualcosa che è ben conosciuto e noto alle nostre istituzioni. Chiediamo allo Stato di predisporre ogni mezzo e risorsa per porre fine a questa situazione vergognosa di ghettizzazione e disumanità. Nel 90% dei casi – precisa Bitonti – queste persone sono regolarmente soggiornanti, quindi lo Stato ha dato il permesso e garantito protezione, ma poi si disinteressa della loro condizione abitativa e lavorativa. E finché esistono i ghetti – aggiunge Bitonti - esiste il caporalato. Perché dove non arriva lo Stato, in quelle situazioni arrivano le mafie”.

La situazione, naturalmente, non riguarda soltanto la Basilicata, ma tutta l'Italia, come ha recentemente messo in luce il Rapporto “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare”, pubblicato dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dall’Associazione nazionale dei Comuni Italiani (Anci) nell’ambito del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020–2022. “Credo che in Puglia ci siano situazioni ancora peggiori – afferma ancora Bitonti -, per esempio a Torretta Antonacci, dove si contano circa 5 mila braccianti. Lì la regione ha pensato pensato di risolvere il problema dei ghetti con dei container, non previsti dalla normativa internazionale: veri e propri ghetti istituzionali, che peraltro attraggono nei loro pressi altri ghetti informali”.

Quale sarebbe, allora, la soluzione più corretta? “La parola chiave è programmazione. Il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato indica tre azioni fondamentali: primo, la collaborazione con le aziende, che devono fornire ove possibile alloggi ai braccianti; secondo, la confisca di beni alla mafia da utilizzare per l'accoglienza diffusa; terzo, il ripopolamento, o meglio la rivitalizzazione dei borghi destinati allo spopolamento. Bisognerebbe partire da queste tre azioni e non sarebbe difficile farlo. Perché allora non viene fatto? Forse per l'incapacità dell'amministrazione pubblica di progettare e programmare, ma anche per l'indifferenza politica rispetto a questi temi, dovuta al fatto, io credo, che i migranti non votano. Non solo: mettere in atto politiche a favore dei migranti è svantaggioso per chi governa: i ghetti sono invisibili e nascosti, mentre aprire centri di accoglienza, specialmente in centri turistici come Metaponto, sarebbe impopolare. Inoltre, intorno a questa situazione si è creato un sistema fatto di 'progettini', in cui si distribuisce malamente denaro pubblico senza risolvere affatto il problema. Ora, confidiamo nel Cedu. Nono è più tollerabile che nelle nostre terre, accanto ai grandi alberghi per turisti, ci siano migliaia di persone che vivono senza porte, senza finestre, senza luce, senza acqua, senza giacigli”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)