L'integrazione socio-sanitaria parte dalla non autosufficienza: parola di Livia Turco

La commissione “Interventi sociali e politiche per la non autosufficienza”, da lei presieduta, ha delineato nel disegno di legge delega come dovrebbe essere il percorso di presa in carico: “Il Punto unico di accesso sarà l'amico di famiglia, in cui si realizzerà l'integrazione che in questi 20 anni è rimasta sulla carta. La scelta è netta: investire sui servizi e sulla domiciliarità, o gli anziani di domani saranno più soli di adesso”

L'integrazione socio-sanitaria parte dalla non autosufficienza: parola di Livia Turco

 Cosa accade oggi, quando una famiglia si trova a dover affrontare la non autosufficienza? E cosa dovrà accadere in futuro? “Oggi per la non autosufficienza ci sono tre risorse: qualche ora di assistenza domiciliare, l'indennità di accompagnamento e il congedo pagato fino a due anni per i familiari che assistono le persone disabili, che ho introdotto nella legge 53/2000. E poi ci sono le Rsa, le case di riposo e le badanti, spesso prive di tutele e di diritti”. Lo sa bene Livia Turco, una vita dedicata alle politiche sociali e sanitarie e impegnata nella realizzazione di quell'integrazione che “oggi, a distanza di 20 anni dalla legge 328, ancora è solo sulla carta”. Per questo, dà grande importanza, Livia Turco, al documento appena ultimato dalla Commissione “Interventi sociali e politiche per la non autosufficienza”, istituita presso il ministero del Lavoro e da lei presieduta. Il documento è una proposta di legge delega, trasmessa il 29 gennaio a Palazzo Chigi e su cui “regna il mistero – ci riferisce – Non è stata diramata, non abbiamo ricevuto alcun riscontro”.

Qualche riscontro c'è stato, invece, dall'associazionismo: per Auser, il documento rappresenta “un significativo passo in avanti nell'auspicata riforma della non autosufficienza”, per Fish invece la bozza è addirittura “irricevibile, perché incentrata sugli anziani non autosufficienti, sebbene la stragrande maggioranza delle persone con disabilità sia composta da giovani e adulti anche non autosufficienti”.

Redattore Sociale ha chiesto a Livia Turco di replicare e, soprattutto, di illustrare gli obiettivi e le novità principali della norma.

Fish ha bocciato il documento, perché si occuperebbe solo di anziani. Cosa risponde?
“Ho grande stima e affetto per Fish, ma non comprendo questa obiezione. Noi stiamo eseguendo il Pnrr, che prevede due leggi: una sulla disabilità e una per gli anziani non autosufficienti. Faccio presente che è stato molto difficile tenere separati anziani non autosufficienti e disabilità, soprattutto per chi conosce e ha a cuore il tema. Perlatro, il mondo della disabilità era autorevolmente rappresentato nella nostra commissione. Ad ogni modo, nella legge siamo stati molto attenti non cadere nella categorizzazione e abbiamo cercato di stabilire tutti i ponti possibili. A partire dagli articoli sulle definizioni, sui principi, sulla case di comunità, sul progetto integrato, sulle deleghe, nel testo si parla sempre di persone non autosufficienti con disabilità e si cita ripetutamente la Convenzione. Pur essendo questa una legge per gli anziani non autosufficienti, abbiamo cercato tutte le strade di scorrimento per evitare un'indebita categorizzazione.

In che contesto s'inserisce questa proposta? Qual è la situazione degli anziani in Italia oggi?
L'Italia è un paese di anziani. La pandemia ha colpito molto questa fascia della popolazione, perché il nostro Paese non è attrezzato, culturalmente e dal punto di vista dei servizi (soprattutto sociali) a prendere in carico questa stagione della vita. Quindi abbiamo voluto fare innanzitutto una operazione culturale, come si evince dal titolo del documento: parliamo di dignità, di stagione della vita anziana, che può dare molto e va valorizzata. Gli anziani, lo sappiamo, sono il welfare delle famiglie, una presenza attiva nella società. Con l'articolo sull'invecchiamento attivo, in particolare, abbiamo voluto riconoscere la valorizzazione delle competenze e l'importanza della solidarietà tra le generazioni. A questo tengo molto.

Il testo si apre con un elenco di definizioni. Perché?
Non è un caso, ma una scelta forte: abbiamo voluto iniziare con definizioni e principi, che sono l'impalcatura della legge. Cosa sono il progetto integrato, il Budget di cura, la Casa di comunità, gli Ambiti territoriali sociali? Definizioni e principi sono parte costitutiva della riforma: dobbiamo uniformare il linguaggio, per rendere giuridicamente vincolanti alcuni concetti.

Quali concetti?
Innanzitutto, i Leps come diritti esigibili. Voglio ricordare che i Leps per la non autosufficienza sono in parte già contenuti nella legge finanziaria, precisamente nell'articolo 1, dal comma 160 al 171. Questo è molto importante perché, seppur non adeguatamente finanziati, tuttavia sono norma di legge e dovranno essere tradotti. Di cosa parlano questi Leps? Di promozione della domiciliarità, di servizi di sollievo alle famiglie, di formazione per gli assistenti familiari, di nuove forme dell'abitare. Un tema cruciale, quest'ultimo, perché il futuro invecchiamento sarà sempre più contrassegnato dalla solitudine, quindi l'abitare solidale è fondamentale. La legge di bilancio anticipa quindi i Leps per la non autosufficienza: noi nella proposta li riprendiamo e vogliamo estenderli e ampliarli.

Qual è il percorso di presa in carico che viene immaginato, nella proposta?
Mettiamoci nei panni di una famiglia che si trovi ad affrontare il problema della non autosufficienza. Secondo quanto abbiamo previsto e descritto, questa dovrà rivolgersi al Punto unico di accesso (Pua) presso la Casa di comunità, definita come luogo in cui le figure sociali e sanitarie lavorano insieme. Qui viene definito il Pai (Piano di assistenza individualizzato), con un responsabile del progetto, a cui partecipano il volontariato, il terzo settore ecc... Il punto chiave è la semplificazione delle procedure per le famiglie, che oggi invece entrano in crisi di fronte alla non autosufficienza, si perdono nel mare di burocrazia che le costringe a passare dal medico di famiglia al geriatra, dall'Inps alla Asl ecc... E poi, di fatto, come forme di sostegno non trovano altro che qualche ora di assistenza domiciliare e l'indennità di accompagnamento. Oppure, l'Rsa. Questo scenario deve cambiare, i servizi devono essere rafforzati e l'accesso semplificato.

Nella documento si parla anche di caregiver familiare
Sì, un articolo è dedicato al riconoscimento delle tutele e delle competenze, al supporto psicologico e alla partecipazione attiva nella definizione del progetto e delle politiche. Lo considero un articolo molto importante. Così come è importante il riferimento alla formazione e l'aggiornamento delle varie figure professionali, in particolare delle badanti.

E l'integrazione socio-sanitaria?
Questo è il pilastro della riforma. Ci siamo domandati: qual è il problema per cui, da quando esistono le legge 328/2000, che prevede l'integrazione socio-sanitaria, cui sono seguiti atti d'indirizzo, non si è ancora realizzata questa integrazione? La risposta è che, mentre la sanità è molto strutturata, il sociale è sbriciolato, povero, perché qui è prevalsa cultura dei bonus e dei trasferimenti monetari. La nostra scelta è far sì che, accanto al distretto sanitario, esista il distretto sociale. Questo è il ruolo dell'Ats, è qui che si costruisce l'integrazione. E questo si può fare solo dotando il sociale di un suo distretto, non addossandolo al sanitario, come vorrebbe una linea di pensiero che considero rinunciataria. La nostra è una scelta luminosa, fatta da chi, come me, conosce la fatica dell'operare sociale sui territori. Per questo l'articolo 8 sugli ambiti territoriali sociali è fondamentale.

E le risorse?
A proposito di finanziamento, abbiamo discusso molto e compiuto infine una scelta netta: le risorse pubbliche. L'articolo 2 rinvia a una delega per forme di finanziamento che favoriscano i servizi. Abbiamo presente il modello tedesco, dove esiste una tassa di scopo per la non autosufficienza e si ricevono più risorse per l'acquisto dei servizi. Mi piacerebbe che nella delega si favorissero, appunto, i servizi. A chi mi dice che non ho avuto coraggio di riformare le indennità di accompagnamento, dico che queste sono tutelate da una sentenza della Corte costituzionale. Se poi, nella definizione della delega relativa al comma 2 dell'art 13, le parti sociali diranno che le indennità vanno riformate, lo faremo, ma io, con particolare convinzione personale, non ho voluto inserire questo nella legge, perché penso che bisogna guardare la realtà. Ho vissuto la lunga non autosufficienza di mia madre e so che quei 500 euro di indennità servono oggi per coprire, in parte, le spese per la non autosufficienza che una pensione media non riesce a coprire. Prima di togliere qualcosa, soprattutto in questo momento e in questo contesto, dobbiamo dare. Quando, grazie alla riforma, avremo dato i servizi che proponiamo, allora potremo anche togliere soldi. Ma finché quei servizi non ci saranno, non è possibile togliere risorse. Per questo, avere un “amico di famiglia” come il Pua è fondamentale ed è il punto di partenza. Conterà molto come saranno scritte le deleghe: il ministro Orlando ha prorogato fino a giugno la Commissione, perché possa contribuire alla stesura dei decreti attuativi. Attendiamo ora notizie da Palazzo Chigi.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)