La detenzione dei migranti ai tempi del Covid? “Priva di basi legali”

La Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (Cild) pubblica un rapporto nel quale fa il punto su quanto avvenuto nei luoghi di transito o di privazione della libertà dei migranti. Nel documento viene analizzata la situazione verificatasi da febbraio a fine giugno nei Centri di permanenza per il rimpatrio, negli hotspot e nelle navi-quarantena

La detenzione dei migranti ai tempi del Covid? “Priva di basi legali”

Oggi la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (Cild) pubblica il rapporto “Detenzione migrante ai tempi del Covid”, un documento nel quale si fa il punto di quanto avvenuto nei luoghi di transito o di privazione della libertà dei migranti, anche attraverso numerosi dati e statistiche. In particolare nel rapporto viene analizzata la situazione verificatasi da febbraio a fine giugno nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), negli hotspot e nelle navi-quarantena.

“Ciò che emerge dal nostro rapporto - spiega l’avvocato Gennaro Santoro, uno dei curatori della pubblicazione - è come nel periodo dell’emergenza sanitaria la detenzione nei Cpr sarebbe da ritenersi priva di basi legali venendo meno la possibilità di effettuare rimpatri, a causa della sospensione della mobilità internazionale. Va ricordato infatti - sottolinea Santoro - che il trattenimento in questi luoghi, così come stabilito dalla Direttiva rimpatri e dal Testo Unico Immigrazione, è esclusivamente propedeutico al rimpatrio”.
“Gravi mancanze - prosegue l’avvocato - si rintracciano anche per quanto riguarda la detenzione negli hotspot, dove il trattenimento continua ad essere attuato in Italia in assenza di una base legale, cioè di un provvedimento di un giudice che disponga o convalidi il trattenimento in questi luoghi di privazione della libertà”.

La questione delle “navi-quarantena”

Un altro elemento di forte preoccupazione segnalato nel rapporto è quello che riguarda le navi-quarantena ormeggiate al largo delle coste italiane. “In particolare, se da una parte può risultare comprensibile individuare dei luoghi dove far svolgere il periodo di quarantena ai migranti appena arrivati, a tutela anche della loro salute, questo tipo di necessità non può contrastare con il riconoscimento dei diritti delle persone che raggiungono il nostro paese e, dunque, con la necessità che la quarantena (che sarebbe ad ogni modo meglio fosse espletata sulla terra ferma) sia una misura proporzionata, non discriminatoria, né arbitraria”, sottolinea ancora l’avvocato Gennaro Santoro.
“La crisi epidemiologica che stiamo vivendo - dichiara Arturo Salerni, presidente della Cild - deve imporre una riflessione alla società civile, al governo italiano, agli altri paesi europei e all’Unione Europea che parta da una revisione critica delle attuali politiche migratorie che si fondono sul binomio esternalizzazione e detenzione diffusa dei migranti. Il fallimento delle attuali politiche migratorie, in termini di vite umane scomparse nel Mediterraneo o restituite all’inferno libico, di illegalità diffusa della detenzione amministrativa, è sotto gli occhi di tutti e durante l’emergenza sanitaria le criticità dell’approccio securitario sono state solo amplificate”.
“Il ritorno alla normalità, a cui tutti auspichiamo, rischia di restituirci una normalità ‘minore’, ancora più scevra di diritti e garanzie nello specifico campo della detenzione migrante se non vi sarà un cambio di rotta – conclude Salerni -. Ferma restando l’esigenza di una revisione critica delle attuali politiche migratorie, la detenzione amministrativa va condotta sui binari del riconoscimento positivo dei diritti fondamentali, a partire dall’introduzione di una normativa di fonte primaria che riconosca chiaramente i diritti delle persone trattenute e rimedi giurisdizionali perché tali diritti non siano solo mere enunciazioni, o diritti di carta”.

Arrivi via mare nel primo semestre 2020

I numeri del rapporto. L’emergenza sanitaria ha reso più critica la situazione delle persone sbarcate in Italia, benché ci sia stata una iniziale diminuzione degli arrivi. Nel mese di marzo sono stati registrati infatti 241 sbarchi, contro i 1.211 di febbraio e i 1.342 di gennaio. “In un primo momento gli arrivi sono stati gestiti senza particolari difficoltà, permettendo alle autorità di implementare puntualmente le procedure previste dal decreto-legge del 17 marzo 2020 e, in seguito, dalla circolare del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del 18 marzo 2020, secondo la quale le persone in entrata in Italia devono essere ‘sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni’ – evidenzia il rapporto -. La situazione è iniziata però a cambiare ai primi di aprile, quando sono ripresi gli sbarchi”.
Secondo il Ministero dell’Interno, tra il 1° e il 30 aprile sono infatti arrivate 671 persone. Il picco è stato raggiunto la prima settimana di maggio con 640 arrivi, alla fine del mese saliti a 1.654, ai quali si sono aggiunti i 1.831 sbarcati a giugno, per complessivi 6.950 arrivi nel primo semestre del 2020. “Il conseguente aumento del numero delle presenze nei centri di prima accoglienza, o hotspot, (picco inizialmente raggiunto tra fine aprile e inizio maggio con un totale di 273 presenze tra Lampedusa, Messina e Pozzallo2) ha determinato una situazione sempre più complessa, soprattutto a Lampedusa, dove la fatiscenza e la scarsa capienza dell’hotspot hanno condotto le autorità competenti a cercare nuove strutture - e navi - dove ospitare i nuovi arrivati via mare”.

Centri di permanenza per il rimpatrio

Anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) l'attenzione nei confronti della pandemia è arrivata tardi. Se infatti il lockdown in alcune regioni italiane è iniziato già a febbraio, l’attenzione per questi centri è stata scarsa nella fase iniziale dell’emergenza sanitaria. All’inizio di marzo i Cpr operativi in Italia erano 9, collocati sull’intero territorio nazionale, ovvero a Torino, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Ponte Galeria (Roma), Caltanissetta, Trapani, Bari, Brindisi Restinco, Palazzo San Gervasio (Potenza) e Macomer (Nuoro). Nel corso della pandemia sono stati chiusi i centri di Trapani, Caltanissetta e Palazzo San Gervasio. All’interno di questi centri erano trattenute 425 persone al 12 marzo e 240 al 28 aprile, a fronte di una capienza totale di 525 (al 29 maggio). Al 15 maggio si passa a 204 presenze, al 22 maggio 195 che salgono a 282 al 25 giugno per arrivare a 332 al 2 luglio.
Tale dato è destinato a salire vista la tendenza riscontrata a fine giugno di trasferire numerosi “ospiti” degli hotspot verso i Cpr. “Dai pochi dati a nostra disposizione, nella seconda metà di giugno, si riscontra ad esempio che a Ponte Galeria si passa da 17 presenze (9 uomini e 8 donne) riscontrate al 18 giugno a 70 al 25 giugno e 101 al 2 luglio, con un aumento di 84 persone in soli 14 giorni”.

“Sin dalla fase iniziale dell’emergenza sanitaria i rischi correlati al diffondersi del Coronavirus nei Cpr non sono sfuggiti a chi quotidianamente si dedica alla salvaguardia dei diritti nei luoghi di privazione della libertà personale, primo fra tutti il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che già nella prima metà di marzo aveva avviato un’interlocuzione con il Ministero dell'Interno per facilitare un’adeguata gestione del trattenimento a fini di rimpatrio al tempo della pandemia e della conseguente chiusura della maggior parte delle frontiere – afferma Cild -. Allo stesso tempo, la società civile si è attivata per porre fine, o almeno per ridurre, l’inutile trattenimento di centinaia di cittadini stranieri che non potevano materialmente essere rimpatriati. Se infatti già in tempi ‘normali’ la funzionalità della detenzione amministrativa ai fini del rimpatrio suscita delle perplessità, i dubbi sull’utilità di questa misura si fanno ancora più forti in un momento in cui la mobilità internazionale è pressoché interrotta. È in questo quadro che si sono inserite le nostre azioni di sensibilizzazione di quei soggetti che giocano un ruolo determinante nel decidere le sorti degli stranieri trattenuti nei Cpr quali sono i Giudici di Pace e i difensori di questi cittadini, rappresentati dai rispettivi Consigli degli Ordini degli Avvocati. Insieme ad altre realtà della società civile ci siamo rivolti ai Giudici di Pace invitandoli a non convalidare né prorogare il trattenimento degli stranieri nei Cpr, trattenimento che appariva inutile - vista la chiusura delle frontiere - nonché illegittimo ai sensi della Direttiva rimpatri, secondo la quale gli Stati membri dell’Unione europea possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento”.  
“Con i Consigli degli Ordini degli Avvocati abbiamo invece condiviso alcune osservazioni sulle misure adottate dalle autorità per far fronte all’emergenza sanitaria nei Cpr, con il fine ultimo di monitorare le decisioni che le autorità giudiziarie competenti stanno prendendo in merito al trattenimento degli stranieri durante questa emergenza senza precedenti e il rispetto, in questi luoghi, dei diritti fondamentali delle persone trattenute”.
Nel frattempo, le misure istituzionali apparivano insufficienti a prevenire la diffusione del contagio nei centri di detenzione amministrativa. “Le disposizioni per gestire l’emergenza sanitaria in questi luoghi sono arrivate infatti solo alla fine di marzo – ricorda Cild -, per fortuna senza che questo si ripercuotesse in maniera eccessivamente negativa sulla diffusione del virus all’interno dei centri”. Ad aprile si registrava il primo caso di positività al Covid-19 nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, che alimentava il timore, sia tra i trattenuti che al di fuori dei centri, che questi luoghi potessero velocemente trasformarsi in veri e propri focolai. “Il clima di tensione rendeva la convivenza tra gli ospiti difficile, e in alcuni centri, come quello di Macomer, si sarebbero verificati anche casi di lesioni, aggressioni, episodi di autolesionismo e almeno un tentativo di suicidio – ricorda l’organizzazione -. Uno tra tutti, il caso di un ragazzo del Benin che ha deciso di gettarsi dal muro alto 5 metri del centro dopo che il Giudice di Pace aveva deciso, per l'ennesima volta, di prorogare per altri 30 giorni il suo trattenimento nel Cpr, nonostante il suo legale avesse prodotto la documentazione necessaria a dimostrare il suo radicamento sul territorio sardo. Ed è del 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato, la notizia di un ragazzo marocchino maltrattato dopo aver deciso di non mangiare più cucendosi la bocca sempre a Macomer, centro all’interno del quale al momento in cui si scrive sarebbero presenti anche persone che hanno superato il periodo massimo di trattenimento di 180 giorni. Ne sono risultati scioperi della fame e proteste, unici mezzi per i trattenuti per far arrivare la propria voce al di là del perimetro del centro”
“Il Covid-19  - sottolinea Cild - non ha cambiato nulla sulla vita nei Cpr rendendola, anzi, sempre più nascosta fino a farla nuovamente scomparire dalle pagine di ogni social e agenda politica, se non in pochi casi. Unici accessi di questi mesi, almeno secondo le informazioni in nostro possesso, sono quelli del Garante nazionale (al Cpr di Macomer e al Cpr di Ponte Galeria) e del Garante regione Lazio (al Cpr di Ponte Galeria), del Garante di Torino (al Cpr Brunelleschi) e quelli di alcuni consiglieri regionali: Bonafoni e Capriccioli al Cpr di Ponte Galeria, Mele al Cpr di Macomer”.

Le decisioni dei tribunali

Quello dell’emergenza sanitaria è stato ed è tuttora un momento per riflettere sul significato che assumono le misure restrittive della libertà personale nel contesto della pandemia da Covid-19. “In questa riflessione – evidenzia Cild -  risulta fondamentale il contributo apportato dai Tribunali che si sono confrontati con l’importante compito di decidere le sorti dei cittadini stranieri trattenuti nei Cpr nonostante l’impossibilità materiale di essere rimpatriati. Parliamo innanzitutto del Tribunale di Roma, che lo scorso 18 marzo non ha autorizzato la proroga del trattenimento di un richiedente asilo originario del Bangladesh trattenuto nel Cpr di Ponte Galeria che il 16 gennaio aveva presentato domanda reiterata di protezione internazionale dal Cpr di Brindisi”. Lo stesso 18 marzo 2020 il Tribunale di Trieste ha emesso un provvedimento con il quale non ha convalidato il trattenimento di un richiedente asilo trattenuto presso il Cpr di Gradisca d’Isonzo.  Il 27 marzo, infine, il Tribunale di Roma ha adottato un ulteriore provvedimento, con il quale ha accolto la richiesta di riesame del trattenimento di una richiedente asilo di nazionalità venezuelana - motivata sulla base della situazione di emergenza sanitaria in corso - e ha disposto la cessazione del trattenimento e la liberazione immediata della trattenuta.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)