La società diseguale: nascita e crescita di Facebook

Un volume scritto da uno dei fondatori ripercorre la nascita e la crescita del social network più famoso al mondo.

La società diseguale: nascita e crescita di Facebook

Facebook torna a muovere le coscienze di chi ci ha lavorato (e ci si è arricchito) in passato. In questo caso, di chi l’ha messo in piedi insieme a Mark Zuckerberg. Nel febbraio del 2004, infatti, una coppia di compagni di stanza di Harvard, lo stesso Zuckerberg insieme a Chris Hughes, avevano fondato con altri soci (Eduardo Saverin, Andrew McCollum e Dustin Moskovitz) una piattaforma battezzata “thefacebook”. Per un eccesso di fiducia l’allora studente di storia Hughes si accontento del 2% della società. Un affare all’apparenza fallimentare che gli ha comunque reso un patrimonio notevole.

La storia di quell’accordo – ma anche molti altri aspetti e critiche al social network che avrebbe cambiato il mondo – sono raccontati in un libro appena uscito e firmato dallo stesso Hughes: “Fair shot: rethinking inequality and how we earn”. La tesi di fondo, oltre a raccontare la vita di un ragazzo della classe operaia della Carolina del Nord ammesso in un ateneo prestigioso come quello di Harvard e coinvolto in un’impresa destinata a diventare titanica (oltre che a un guadagno di 500 milioni di dollari), è tuttavia affatto celebrativa del sito. La medesima natura di Facebook, quella in cui il vincitore si aggiudica ogni vantaggio, spiega Hughes nel libro unendosi al coro di critici degli ultimi tempi, è l’emblema dello stesso smantellamento del sogno americano per come lo abbiamo conosciuto nel corso del Novecento.

La vicenda di Facebook, insomma, diventa nel volume il simbolo degli squilibri del capitalismo statunitense, un sistema in cui la disuguaglianza ha raggiunto livelli mai visti dal 1929 e nel quale “molti americani non saprebbero come reperire 400 dollari in caso di emergenza mentre io sono stato in grado di guadagnarne 500 milioni in tre anni di lavoro” spiega Hughes. Facebook diventa dunque metafora degli Stati Uniti e dei suoi contrasti.

Oggi Facebook ha anche la responsabilità di rispondere alle fake news e ad altre corrosive forze online che mettono a rischio la democrazia americana. Su questo livello si è piazzato perfino l’ex presidente Barack Obama, campione dei social nelle sue scintillanti campagne elettorali, quando ha spiegato che le grandi piattaforme – Google e Facebook sono le più ovvie ma anche Twitter e altre sono parte di questo ecosistema – debbano avere una conversazione sul loro modello di business che riconosca la loro natura di bene pubblico oltre che di impresa commerciale. Non sono solo una piattaforma invisibile, ma stanno plasmando la nostra cultura in maniera potente.

Tornando a Hughes, il cofondatore del social da oltre due miliardi di utenti si dice convinto che l’élite privilegiata abbia una responsabilità morale di occuparsi del resto del Paese. Per questo chiede a gran voce nuove leggi che prevedano un reddito minimo garantito, tema molto diffuso fra i visionari della Silicon Valley e molto diverso nei contorni da ciò di cui si discute in Europa. Un meccanismo che consentirebbe di salvare l’American dream.

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Fonte: Sir