Libro bianco sulle droghe: “Dopo 32 anni di Testo unico, devastanti effetti penali”

Presentato oggi alla Camera dei deputati la tredicesima edizione del Libro Bianco sulle droghe “La traversata del deserto”. Preoccupano i dati sul carcere. “Senza detenuti per art. 73 o tossicodipendenti non si avrebbe sovraffollamento nelle carceri”

Libro bianco sulle droghe: “Dopo 32 anni di Testo unico, devastanti effetti penali”

“Dopo 32 anni di applicazione del Testo Unico sulle droghe Jervolino-Vassalli, i devastanti effetti penali (dell'art. 73 in particolare) sono sotto gli occhi di tutti. La legge sulle droghe continua a essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri”. È quanto denuncia la tredicesima edizione del Libro Bianco sulle droghe “La traversata del deserto” presentato questa mattina presso la sala stampa della Camera dei deputati.  Il Libro Bianco è un rapporto indipendente sugli effetti del Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90) sul sistema penale, sui servizi, sulla salute delle persone che usano sostanze e sulla Società ed è promosso da La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, CGIL, CNCA, Associazione Luca Coscioni, ARCI, LILA e Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica CGIL, Gruppo Abele, ITARDD e ITANPUD. Ogni anno viene presentato in occasione del 26 giugno, Giornata mondiale sulle Droghe, nell’ambito della campagna internazionale di mobilitazione Support! don’t Punish che chiede politiche sulle droghe rispettose dei diritti umani e delle evidenze scientifiche e che quest’anno coinvolgerà oltre 250 città in circa 100 paesi. Anche l’edizione 2023 dell’ormai noto libro bianco – che, come al solito, anticipa la relazione al Parlamento sulle droghe – mette a fuoco il tema della repressione. Secondo i dati riportati nel rapporto, “sui 56.196 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2022 ben 12.147 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico – si legge nel libro bianco -. Altri 6.126 in associazione con l'art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), solo 1.010 esclusivamente per l'art. 74. Si tratta del 34,3% del totale. Sostanzialmente il doppio delle media europea (18%) e molto di più di quella mondiale (22%)”. Vengono definiti invece “catastrofici” i dati sugli ingressi e le presenze di detenuti definiti "tossicodipendenti". “Lo sono il 40,7% di coloro che entrano in carcere – spiega il rapporto -, mentre al 31/12/2022 erano presenti nelle carceri italiane 16.845 detenuti certificati, il 30% del totale (+10% sul 2021). Questa presenza record (dal 2006 ad oggi) è alimentata dal continuo ingresso in carcere di persone”. Secondo le organizzazioni promotrici del libro bianco, infatti, “senza detenuti per art. 73 o tossicodipendenti non si avrebbe sovraffollamento nelle carceri”. Basti pensare che “in assenza di detenuti per art. 73. o di quelli dichiarati tossicodipendenti, non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario – si legge nel documento -. Dopo 33 anni di applicazione non possiamo più considerare questi come effetti collaterali della legislazione antidroga, ma come effetti evidentemente voluti. A dimostrazione di questo, a fronte di una diminuzione di operazioni antidroga e persone segnalate all'autorità giudiziaria, calano anche gli ingressi in carcere per droghe: 9.961 dei 38.125 ingressi in carcere nel 2022 sono stati causati dall’art. 73 del Testo unico, detenzione a fini di spaccio. Si tratta del 26,1% degli ingressi (era il 28,3% nel 2021)”. Senza le presenze legate al consumo di sostanze stupefacenti, spiegano nell’introduzione Stefano Anastasia e Franco Corleone, “non avremmo bisogno di nuove carceri e di padiglioni che tolgono spazi vitali, si abbatterebbe il sovraffollamento e il carcere si potrebbe limitare ai casi di gravi reati contro la persona, l’ambiente e l’economia”. E sebbene il numero delle misure di comunità cresca, continuano i due storici curatori del libro bianco, “crescono insieme con il carcere, non a suo detrimento, con la caratteristica classista di un nuovo doppio binario, per cui la gran parte di chi entra in carcere è destinato a restarvi fino all’ultimo giorno mentre chi ha risorse personali, familiari o relazionali può contare sulla messa alla prova processuale, sulle sanzioni sostitutive o sulle alternative al carcere in corso di esecuzione penale”. In questo contesto, le misure alternative, continuano a crescere, ma stavolta destano qualche preoccupazione. “Continua l’impetuosa crescita delle misure alternative, interrottasi solo nel 2020, quando si registrò un lieve calo – si legge nel libro bianco -. Dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2022 si è passati da 3.592 a 35.799 sottoposti a misura alternativa (+896,6%). Siamo abituati a vedere di buon occhio le misure alternative, che tra le altre cose hanno dimostrato una maggiore efficacia nell’abbattimento della recidiva rispetto alla detenzione. Tuttavia, l’aumento delle misure alternative non è andato di pari passo con la diminuzione della popolazione carceraria. Cosa significa? Che, come previsto da Stanley Cohen nel 1979, in un contesto di forte domanda di controllo sociale istituzionale gli strumenti di diversion e quelli di probation rischiano di ampliare l’area del controllo piuttosto che limitare quello coattivo-penitenziario”. In altre parole, “le misure alternative alla detenzione possono diventare (e, nel nostro caso, potrebbero essere già diventate) misure alternative alla libertà”, conclude il testo.(ga)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)