Metaverso, nuova frontiera. Se i giovani sanno riconoscere i confini tra il mondo digitale e quello “reale”

Inutile negare che per la Generazione Z il metaverso risulti super allettante, sia nel campo della socialità che in quello dello studio

Metaverso, nuova frontiera. Se i giovani sanno riconoscere i confini tra il mondo digitale e quello “reale”

Il futuro del metaverso è ancora in divenire, ma è evidente che esso rappresenti la nuova frontiera per l’innovazione e al contempo un “business” da svariati milioni di dollari.

I mondi che promette di svelare a noi, ma soprattutto ai nostri giovani, innescano una transizione epocale profonda, in parte già in atto, lanciando una sfida che riguarda l’identità dei singoli individui e dell’intera società.

In una intervista resa nell’ambito del Progetto “Futuri probabili” (https://www.fondazioneleonardo.com/aree/20302040-futuri-probabili ), imperniato sul rapporto dei giovani con le nuove tecnologie, l’Intelligenza artificiale e il metaverso e promosso dalla Fondazione Leonardo-Città delle Macchine e Intesa Sanpaolo, il sociologo belga Derrick De Kerckhove spiega che siamo di fronte a una “crisi epistemologica” nella quale “il sistema di costruzione della conoscenza non usa più la sensorialità. (…) Il primo algoritmo dell’animale umano è proprio il senso: l’uomo tocca, vede, sente… (…) L’umano ha tanti gesti e i sensi contribuiscono al significato”. Aggiunge, di contro, che nella tecnologia “l’algoritmo (…) fa a meno del significato e punta solo alla direzione. Archiviando la sensorialità. In sostanza, si comporta come Google Translator: traduce un libro di trecento pagine in dieci minuti ma non ne coglie il senso. La struttura dell’algoritmo fa passare la realtà umana dallo scambio dei sensi a uno scambio di direttività. Ma il problema è che tutta l’oggettività del mondo, oggi, comincia a rifugiarsi dentro l’intelligenza artificiale”.

Di intelligenza artificiale (IA) si parla molto anche in campo educativo e didattico, recentissimo ad esempio il lancio in Italia di una nuova piattaforma dedicata agli alunni della scuola primaria in cui Genia, una maestra virtuale, li assiste nei processi di acquisizione dei contenuti. Negli Stati Uniti sono in corso delle sperimentazioni riguardo l’apprendimento immersivo, una nuova forma di paideia.

Ma come si impara nel metaverso? Molti specialisti del settore affermano che l’approccio funzioni “alla grande”, in maniera sorprendente e inclusiva. Gli educatori del Maryland Global Campus sostengono che alcuni studenti traggano maggiore serenità nel riconoscere sé stessi in un avatar nell’interazione con colleghi e studenti. In special modo se sono in difficoltà.

Ciò che in apparenza ad alcuni pare rassicurante, in altri però desta preoccupazione.

Il filosofo Eugenio Mazzarella, nel suo volume Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis, 2023), rileva come il digitale chiami essenzialmente in causa quelli che Hegel definiva “i sensi superiori”, ossia vista e udito. L’autore ricorda però come il contatto – anche fisico, tattile – con l’altro e con l’ambiente circostante sia fondamentale nei processi di apprendimento. “L’esser presenti” passa attraverso i sensi di cui un individuo dispone. E – non a caso – a scuola si risponde “presente”. Forse perché per apprendere non basta ascoltare e guardare, ma bisogna anche “esserci”. Non solo ragionare, ma pure “sentire”.

Il filosofo spiega, inoltre, che il rischio più grosso è quello dello “shock antropologico”, cioè l’effetto gorgo, il buco nero dell’online che fagocita la realtà offline, la vita come tale, determinando una distopia post-umana. L’era digitale più che spaesare rischia di “svellere” l’umano da sé stesso e dal suo ambiente, in nome della “truffa” dell’Intelligenza Artificiale che vuole consegnare l’umano a una rete di governo e di controllo, anziché dargli più “mondo”, più libertà.

Di fatto è inutile negare che per la Generazione Z il metaverso risulti super allettante, sia nel campo della socialità che in quello dello studio. Grazie a strumenti e tecnologie avanzate, gli utenti possono creare e condividere i propri contenuti digitali, dall’arte alla musica ai giochi. In questo universo virtuale, chiunque può diventare un “creatore” e l’unico limite è la propria immaginazione.

Ma, al di là dei ben noti rischi legati alla privacy e alla sicurezza, i giovani si rendono davvero conto che i confini tra il mondo digitale e quello “reale” stanno diventando sempre più sfumati? Sono pronti ad affrontare lo “shock antropologico”? E in questo universo governato dall’algoritmo “direzionale” che fine fa la creatività umana, la ricerca di senso e il pensiero critico?

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Fonte: Sir