Migranti. “Amica Acqua”, il progetto per il recupero dai traumi della traversata del Mediterraneo

In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, “Sport Senza Frontiere” presenta ai media i successi del progetto innovativo, portato avanti attraverso corsi settimanali di acquaticità. Nell’attività di ambientamento all’acqua vivono un processo psicologico ed emotivo di trasformazione dell’acqua da nemica ad amica. E per le donne è l’occasione di riconciliarsi con il proprio corpo e riappropriarsi di un’identità positiva

Migranti. “Amica Acqua”, il progetto per il recupero dai traumi della traversata del Mediterraneo

“Amica Acqua” è il nome del progetto di Sport Senza Frontiere per il recupero dai traumi della traversata del Mediterraneo. È rivolto alle mamme e ai loro bambini, di età compresa tra i 4 mesi e i 6 anni, provenienti dal circuito Sai (Sistema di accoglienza e integrazione).
Attraverso i corsi settimanali di acquaticità di “Amica Acqua”, Sport Senza Frontiere punta a ridare a queste donne e ai loro piccoli, la possibilità di recuperare il rapporto con l’acqua che, gradualmente, lascia le caratteristiche di ostilità e si modifica in uno spazio in cui si può praticare sport e stare bene, superando il trauma del viaggio. I beneficiari del progetto sono infatti donne che hanno affrontato e vissuto la traversata in mare per arrivare in Italia a bordo di barconi precari. Molte di loro non conoscevano l'acqua e quando ne sono entrate in contatto per la prima volta, dopo aver assistito a naufragi e morti, l'hanno percepita come nemica.
“L’acqua - commenta Alessandro Tappa, residente di Ssf - è una via di fuga dalla fame e dalla violenza, ma anche un nemico che da un momento all’altro può inghiottirti. Questa è stata l’esperienza del mare per tante mamme e bambini che abbiamo accolto in questi anni, un trauma che il nostro progetto ‘Amica Acqua’ ha aiutato a superare. Queste famiglie che hanno approcciato il mare per la prima volta su un barcone precario e affollato, che li portava verso le coste italiane, di certo non avevano mai frequentato una spiaggia né tantomeno una piscina. Così a molte mamme in alcuni casi abbiamo dovuto spiegare come indossare un costume o convincerle ad indossarlo, come portare la cuffia, come preparare i bambini prima di entrare in acqua. Abbiamo insegnato alle mamme e ai bambini a nuotare, mostrando il volto amico dell’acqua. Attraverso i corsi settimanali di acquaticità di ‘Amica Acqua’, cerchiamo di ridare a queste famiglie la possibilità di recuperare il rapporto con l’acqua e soprattutto con il proprio corpo spesso violato, ferito e sfruttato, mostrando l’acqua stessa come uno spazio in cui si può praticare sport e stare bene, superando il trauma del viaggio e della violenza”.
Ad oggi, sono oltre 60 le donne e i bambini coinvolti. Nell’attività di ambientamento all’acqua vivono un processo psicologico ed emotivo di trasformazione dell’acqua da nemica durante il drammatico viaggio, ad amica. Per le donne, è l’occasione di riconciliarsi con il proprio corpo, a volte violato o in situazioni di pericolo costante e riappropriarsi di un’identità più positiva e rilassata. Inoltre, capita molto spesso che i nuclei familiari, appena arrivano in Italia, vengano separati e collocati in centri d'accoglienza differenti. Grazie a questo progetto, alcuni nuclei familiari hanno la possibilità di stare insieme e condividere questa esperienza. Dopo un anno di fermo a causa dell'emergenza sanitaria, la piscina Fulvio Bernardini della Uisp ha riaperto al progetto e accoglie 11 mamme e rispettivi figli, sotto la supervisione degli educatori e dei volontari.
“Sono venuta a contatto con Ssf per la prima volta nel 2018 – racconta Fortune, una donna nigeriana arrivata in Italia su un barcone con la figlia di appena 18 mesi -. Ero in attesa di una risposta dalla commissione per i rifugiati alla mia domanda di asilo. Avevo affrontato il viaggio a piedi e poi, nell’ultima parte, su un barcone, non avevo mai visto il mare prima. Il viaggio per me fu durissimo, ero terrorizzata per me e la mia bambina, ma salire su quel barcone era per noi il sogno di una vita migliore. Sapevo bene, però, che poteva anche significare, con molta probabilità, affogare in mare prima di raggiungere la Sicilia. Quelli di Ssf mi hanno inviato a frequentare un corso in piscina ma la prima volta che ho visto quanto era alta l’acqua ho avuto una paura profonda, ho rivissuto quelle sensazioni avute mentre attraversavamo il Mediterraneo. Ma con molta delicatezza, gli operatori di Sport Senza Frontiere mi hanno accompagnata lezione dopo lezione a prendere confidenza con l’acqua e a fidarmi di loro. Ho iniziato prima immergendo un piede, poi l’altro, poi  le gambe…e piano piano ho imparato a nuotare e a rilassarmi in acqua con mia figlia”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)