Nel 2022 il Piano nazionale di domiciliarità integrata: la proposta delle associazioni

Documento di oltre 40 organizzazioni del terzo settore pubblicato oggi e indirizzato a Governo, Parlamento e società civile. Il Piano come primo passo verso una riforma complessiva dell'assistenza agli anziani prevista per il 2023-2024 dal Pnrr. Gori: “Anziani e famiglie non possono aspettare”

Nel 2022 il Piano nazionale di domiciliarità integrata: la proposta delle associazioni

Anziani e famiglie hanno bisogno con urgenza di risposte ai loro bisogni. Non possono aspettare una riforma generale dell'assistenza che, pur necessaria, arriverà nel 2023-2024. È questa la ragione stringente che ha ispirato oltre 40 organizzazioni del terzo settore, riunite nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, a ideare un “Piano nazionale di Domiciliarità Integrata”, che viene pubblicato oggi e indirizzato a Governo, Parlamento e alla società civile. Un Piano da avviare nel 2022, inserendolo nella manovra finanziaria del Governo. L'Italia ha l'occasione storica, grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e i fondi dell'Unione Europea, di dar vita a una riforma complessiva dell'assistenza agli anziani non autosufficienti. Che però vedrà la luce tra due o tre anni, se va bene. Nel frattempo, si può compiere un primo passo importante, atteso da famiglie, anziani e dagli operatori del settore: un nuovo Piano che riorganizzi, migliori e rilanci l'assistenza domiciliare. “Gli investimenti del Pnrr e le recenti normative concentrano i nuovi stanziamenti per la non autosufficienza sugli interventi a domicilio -sottolinea Cristiano Gori, docente di Politica sociale all'Università di Trento e coordinatore scientifico del Patto-:Noi guardiamo alla realtà e quindi partiamo da qui. Questo è il primo treno che parte sull'assistenza agli anziani, dobbiamo prenderlo e fare in modo che dia i suoi frutti al più presto. Anziani e famiglie non possono aspettare”.

Per realizzare il Piano sulla domiciliarità “le azioni da compiere consistono nel cambiare il modello d’intervento dell’Adi (Assistenza domiciliare integrata, delle Asl), nello stanziare maggiori risorse per il Sad (Servizio di assistenza domiciliare, dei Comuni) e nel realizzare risposte integrate”, si legge nel testo da oggi consultabile sul sito pattononautosufficienza.it.

Con l'attuazione del Piano sulla domiciliarità si potranno così raggiungere alcuni obiettivi di breve e di medio-lungo termine. Nel breve termine, il Piano permette di iniziare a fare dei cambiamenti nei territori, che di solito richiedono molto tempo. Inoltre, il Piano stesso sarebbe già il primo passo coerente verso la riforma complessiva dell'assistenza agli anziani. Si evita così il rischio che nei prossimi anni si attivino misure che contraddicono gli scopi della riforma stessa.

Tre sono gli obiettivi di medio-lungo periodo del Piano domiciliarità. Il primo è quello di “Superare l’attuale separatezza tra il Sad e l’Adi, i due servizi domiciliari pubblici esistenti in Italia”. Secondo: “La possibilità di ricevere il giusto mix di prestazioni che la non autosufficienza richiede: i servizi medico-infermieristico-riabilitativi, il sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana, azioni di affiancamento e supporto a familiari e badanti”. Infine, “la possibilità di ricevere assistenza per il tempo necessario. In genere la non autosufficienza si protrae a lungo e richiede interventi frequenti. L’intensità degli interventi (numero di visite per utente) e la durata del periodo di assistenza devono, dunque, essere adeguate. Oggi, in prevalenza, intensità e durata sono troppo limitate”. Dunque un Piano domiciliarità capace di dare risposte alle esigenze delle famiglie che hanno un anziano non autosufficiente in casa.

Per realizzare il Piano domiciliarità è però necessario “trovare un nuovo equilibrio tra un nuovo maggior ruolo dello Stato in questo settore che garantisca equità tra i territori e la valorizzazione delle autonomie locali -sottolinea Cristiano Gori-. Le autonomie locali vanno coinvolte in ogni passaggio. Lo Stato deve dare poche indicazioni chiare e affiancare le autonomie locali nella realizzazione. Non solo. Lo Stato deve saper valorizzare anche quel che di buono si fa già nei territori”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)