“Orsola”, il lavoro sociale nel romanzo di Folgheraiter

Protagonisti un’operatrice sociale colta e idealista, Orsola Stecker, e il cucciolo d’orso JJ1: dal loro incontro e dalla loro strana “fusione”, derivarono “esiti a tutt’oggi imprevedibili nella storia del welfare universale”

“Orsola”, il lavoro sociale nel romanzo di Folgheraiter

Da una parte un'assistente sociale, dall'altra un orso: lei si chiama Orsola Stecker, lui viene nominato JJ1 e diviene famoso in tutto il mondo. L'incontro e la “fusione” tra questi due, offre lo spunto a Fabio Folgheraiter, professore di Politica sociale e di Metodologia del Lavoro sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, per il suo primo romanzo, “Orsola”, recentemente pubblicato da Il Margine.

In breve, la trama: durante una leggera nevicata, in un pomeriggio di gennaio senza vento, nei verdissimi boschi del versante trentino del Parco Naturale Adamello-Brenta, non distanti dall’incantato villaggio dolomitico di Spormaggiore, i protagonisti di questo libro — un’operatrice sociale colta e idealista, Orsola Stecker, e l’estroso cucciolo d’orso JJ1, che avrebbe in seguito fatto parlare di sé i giornali di tutto il mondo — ebbero modo di incontrarsi. Da quel momento, le loro esistenze divennero, misteriosamente, una. Ad assistere al prodigio e raccontarlo di ci sono il guardiaparco Luigi Gigioti e l'autore del libro, a cui Redattore Sociale ha chiesto le origini e le ragioni di questo lavoro.

Come è nata l’idea di “Orsola”?
Innanzitutto, il libro non è frutto di una progettazione. Si è steso come un continuo flusso di coscienza che è iniziato un giorno di tanti anni fa, durante una mia passeggiata estiva nei boschi del Parco Adamello Brenta. Tutto è partito dall’intuizione di una trama surreale e intrigante, avente a che fare con il lavoro sociale, l’etologia, l’ecologia. In generale: con il benessere umano e animale. Tornato in fretta a casa, mi sono messo subito a scrivere. Da lì in poi, ho aggiunto via via pagine alle pagine che si accumulavano, sempre senza tanto pensarci: per puro divertimento mio, sempre quando potevo, tra i vari impegni, mi ci dedicavo. Il libro è venuto fuori così, come se aspettasse solo chi lo digitasse...

Di cosa parla “Orsola”?
Orsola è tecnicamente un romanzo-saggio, cioè una narrazione fantastica dentro cui si snoda e si “nasconde”, ininterrotto, il filo di un ragionamento. Inaspettatamente ci si imbatte, nel testo, in una teorizzazione umoristica (ma serissima) del lavoro terapeutico nei servizi sociali e sociosanitari. La protagonista è un'assistente sociale degli anni Settanta, con doppia laurea (diplomata prima in Servizio sociale, poi anche in Psicologia): una donna raffinata, di ottime letture, uscita dall’Università con il 110 e lode, piena di idee, teorie e tante ottime intenzioni, che però al contatto con il lavoro - per le urgenze, lo stress, le incomprensioni con i suoi dirigenti e con gli assessori, la testardaggine dei suoi utenti o per la vaga sensazione che in fondo tutte queste difficoltà dipendevano da lei stessa – si è andata via via spegnendo, tormentandosi l’animo. Insomma, è andata in burn out, come si dice ora in un cupo linguaggio moderno. Ma la trama ad un certo punto vira: l'operatrice sociale, esperta nell’aiutare gli altri, inizia un percorso per aiutare finalmente anche se stessa. Sente l’impulso a lavorare sui suoi limiti e pure sulle sue presunzioni inconsce. Aiutata da due grandi persone su cui ha la fortuna di poter contare, due maestri di umanità, Orsola faticosamente, martellando il proprio sé sull’incudine dell’introspezione, riesce a fuoriuscire dal suo penoso affanno mentale e psichico. Tutto bene quindi, ma subito ecco un colpo di scena: la mente, così ben ristrutturata e ben indirizzata, trasmigra – per uno strano e quasi incredibile fenomeno di metempsicosi – nell’animo di un orsetto storicamente vissuto in Trentino, nel Parco Adamello Brenta, di nome JJ1. Tale orso si ritrova ad essere così, suo malgrado, buono! Agisce come una sorta di operatore sociale, il primo della storia a quanto si sappia, addetto al welfare forestale. Una serie di incredibili ma istruttive avventure lo vedono protagonista.

Perché ha sentito il bisogno di inventare e raccontare questa storia?
Mi occupo da tanti anni di formazione degli operatori sociali. Dentro di me è sempre stata forte, perciò, la tensione a comprendere le dinamiche implicate in una efficace (o come minimo non palesemente velleitaria o sterile, ecc.) “professionalizzazione” dell’umano. In tanti anni mi è diventato chiaro che ciò che nelle Università si è quasi inevitabilmente costretti a fare (enfatizzare quasi esclusivamente la componente scientifica e intellettuale dell’aiuto) presenta un paradossale grave limite per ogni formazione dei terapeuti. Si finisce con l’ignorare il fatto che ogni “operatore dell’umano” - il professionista che ha che fare con le miserie degli esseri umani - è esso stesso un “essere umano”, nel bene e nel male. Limitato e condizionato dall’essere in fondo un organismo bio-psichico al pari di ogni altro mammifero superiore, e allo stesso tempo prepotentemente proiettato a trascendere l’animalità grazie alle nobili parole del suo linguaggio. Tutta la nostra razionalità affonda nei meandri oscuri dell’organismo biologico e dell’inconscio, come S. Agostino ci ha meravigliosamente spiegato, tanti secoli prima di Freud. Nella relazione di aiuto, tale condizione può creare nei terapeuti paradossali e impercettibili discrasie tra il loro dire e il loro fare (tra i propositi e i fatti, tra la teoria professata e le pratiche agite). Ora, gli effetti di tutte queste “verità”, o meglio di queste sensazioni, misteriose e insieme banali, non si prestano ad essere spiegati (e compresi) freddamente, nelle normali dinamiche dei saggi scientifici. Molto meglio un romanzo, una narrazione evocativa e surreale, una storia fantastica e un poco criptata. Orsola appunto.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)