Preghiera come vita. Nei “Racconti di un pellegrino russo” l’insegnamento di un modo diverso di vivere e rivolgersi a Dio

Vagabondare con un po' di pane secco e una Bibbia, lasciare ogni certezza materiale per accettare la strada

Preghiera come vita. Nei “Racconti di un pellegrino russo” l’insegnamento di un modo diverso di vivere e rivolgersi a Dio

Preghiera come comunione con l’intimo del proprio cuore, ma anche come ricerca della soluzione di una apparente contraddizione, quella nascosta nell’invito paolino ai Tessalonicesi a pregare incessantemente: come si fa a pregare oggi senza sosta se dobbiamo fare i conti con le realtà tangibili della vita, con i rapporti interpersonali, con le questioni degli interessi, del lavoro, della gestione della casa? La risposta è nella realtà dell’accadere oltre il presunto benessere: il viaggio. Vagabondare con un po’ di pane secco e una Bibbia, lasciare ogni certezza materiale per accettare la strada. Certamente una risposta non nuova nella letteratura russa, perché Leskov, Dostoevskij, Gogol, Tolstoj e poi Chlebnikov, negli anni della guerra civile tra Bianchi e Bolscevichi dopo la rivoluzione, solo per fare alcuni nomi, avevano narrato il vagabondaggio e l’apparente volontà di perdersi.

In “Racconti di un pellegrino russo”, che accenna alla guerra di Crimea, scoppiata nel 1853, e che fu stampato per la prima volta a Kazan nel 1881 ad opera dell’abate del monastero di san Michele Arcangelo, basandosi su un manoscritto che anni prima aveva ricopiato in uno dei monasteri del monte Athos, ma che forse ha origini più lontane, colui che ha scelto di essere viandante -forse un mercante, o un contadino- entra in contatto, grazie all’insegnamento di un maestro, con la preghiera del cuore: “Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di me”.

È questo il nucleo fondante del libro: l’esicasmo, che pone a sua volta domande antiche come quelle riguardanti i rapporti tra alcuni monaci ortodossi e religiosi orientali, forse buddisti, vista la sua fusione tra fasi respiratorie, immissione ed emissione dell’aria e preghiera. Ed è ancora una volta un libro, la Filocalia, che, gli dice il maestro, “contiene la scienza completa e particolareggiata della preghiera interiore perpetua esposta da venticinque Padri”: questo libro diviene la sua guida, perché lo mette costantemente di fronte a quella preghiera del cuore, semplice, breve, ma che cela il grande mistero dell’incontro tra mente, corpo, anima, respiro.

Il pellegrino continua la sua ricerca, pronto ad imbarcarsi per Gerusalemme, verso le origini della sua fede, ma intanto, al di là di imposizioni disciplinari (pregare dodicimila volte, ad esempio, in un giorno) imposte dalla sua guida, la preghiera del cuore rimane il centro di tutto. Il viaggio, la fame, la condivisione del poco con gli altri, i pericoli e le imboscate, le tentazioni, l’interiorità e la corporeità, il dentro e il fuori lentamente divengono una cosa sola che non trova riposo, semplicemente perché sta scoprendo che la verità è nel cammino.

Quel “Signore Gesù Cristo abbiate pietà di me” diviene presenza, risonanza profonda di una voce che non è più solo individualità fine a se stessa, ma incontro con l’Altro in noi.

In tempi di fascinazioni consumistiche e di sprechi inquinanti, di inni alle cose, la crosta di pane, l’affrontare le strade innevate con le fasce ai piedi e non le scarpe, il chiedere il permesso di poter dormire per terra sotto una casa non sono esotismi di maniera, ma l’invito ad una preghiera attiva, certamente respiro del corpo e dello spirito, ma anche nuovo modo di vivere la vita.

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Fonte: Sir