“Senza sbarre”: una masseria e un pastificio per l’inclusione dei detenuti

Il progetto “Senza Sbarre” è partito a dicembre 2017. A settembre 2018 è stata avviata la comunità semi residenziale, che vede oggi presenti 12 persone, alcune delle quali la sera rientrano in carcere. Gli altri hanno l’obbligo di dimora o sono agli arresti domiciliari

“Senza sbarre”: una masseria e un pastificio per l’inclusione dei detenuti

Si inaugurano oggi ad Andria la Masseria “San Vittore” ed il pastificio “A mano libera”, che rientrano nel progetto della diocesi di Andria “Senza sbarre” per l’inclusione sociale e lavorativa di detenuti ed ex detenuti. Interverranno, tra gli altri, il vescovo di Andria, Luigi Mansi, che benedirà gli ambienti, il Procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, e il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bari, Giuseppina D’Addetta. Alla realizzazione del progetto hanno contribuito, oltre alla diocesi pugliese, la Conferenza episcopale italiana – con i fondi 8xmille e Caritas nazionale -, “Rotary International, l’associazione di imprenditori andriesi ‘Amici per la vita’, un imprenditore della pasta della vicina Barletta e tanti altri benefattori”, dice don Riccardo Agresti, anima del progetto insieme con un altro sacerdote della diocesi di Andria, don Vincenzo Giannelli.

“L’idea centrale di questo progetto diocesano è di occuparsi di eseguire la misura alternativa al carcere in comunità attraverso l’inclusione socio-lavorativa dei detenuti”, ai quali si aggiungono gli ex detenuti che vogliono da subito rifarsi una vita, spiega don Riccardo Agresti. Il progetto “Senza Sbarre” è partito a dicembre 2017. “A settembre 2018 – continua – è stata avviata la comunità semi residenziale, che vede oggi presenti 12 persone, alcune delle quali la sera rientrano in carcere. Gli altri hanno l’obbligo di dimora o sono agli arresti domiciliari”. Funziona così: i magistrati del Tribunale di sorveglianza e l’area educativa del carcere, “se matura la possibilità di una misura alternativa- spiega don Agresti – ci invitano a prendere in considerazione il caso; se la persona vuole veramente cambiare vita, diamo la nostra disponibilità: questo significa quanto sia importante fare rete”.

“Quasi tutti gli ospiti arrivano al mattino in masseria, accompagnati dai volontari”, aggiunge. Dopo la preghiera, tutti al lavoro: dalla pulizia della stalla, ai lavori di giardinaggio, alla cura dei 7 ettari di terra con un uliveto e campi a seminativo intorno alla masseria. Inoltre, “alcuni imprenditori ci fanno completare lavori avviati in aziende vicine”. Il prossimo obiettivo è quello di arrivare ad una ventina di ospiti, “e, già da giugno, attraverso la misura alternativa di comunità residenziale, permettere ad almeno 5 o 6 di loro di dormire nella masseria e non in carcere”. La struttura è dotata di un laboratorio per la produzione di pasta, che “adesso è utilizzata per il fabbisogno della comunità e distribuita attraverso le parrocchie di Andria”, prosegue. L’auspicio è di commercializzarla col marchio “A mano libera” già da questo mese “nei punti vendita di prodotti del commercio equo e solidale, e successivamente, di venderla nei supermercati”. “Il pastificio sarà un canale di autonomia” per rendere la comunità indipendente “e dare lavoro a ragazzi che ieri si procuravano i soldi in modo facile”. Ora, invece, “i soldi devono sudarseli, anche questo fa parte del ‘sogno’ del Vangelo”. L’ospitalità non termina con la fine della pena: “Se un ospite che ha scontato la pena si trova bene, continua a stare nella comunità”.

“Il volontariato sarà l’anima del progetto, perché non crediamo negli uomini soli o ad uno solo uomo al comando, ma crediamo nel noi”, scandisce don Agresti.

L’equipe, che oggi è composta dal vescovo, da un manager professionista che aiuta nelle strategie di produzione, dai due sacerdoti andriesi e da due volontari, a breve sarà arricchita da assistenti sociali e psicologi. “Il Vangelo, che vogliamo applicare quotidianamente, ha portato don Vincenzo e me ad incontrare da parroci i detenuti del carcere di Trani già dal 2007″, ricorda don Agresti. Lì “abbiamo toccato lo stigma e abbiamo fatto i pellegrini mendicanti del capire e dell’agire. Abbiamo ‘sognato’ con il Vangelo, che è missione, azione, testimonianza, incisività da vivere nella ferialità, e non con gesti straordinari che durano soltanto un giorno”.

La svolta del progetto, continua don Agresti, l’ha data il vescovo Mansi che ha apprezzato l’idea. “C’è bisogno di una azione comunitaria”, ha detto monsignor Mansi, ricorda don Agresti. E così il sogno di due sacerdoti è diventato della intera diocesi. “Siamo arrivati a realizzare questo progetto perché abbiamo fatto un progetto di inclusione dei carcerati nelle nostre comunità, che ora non si fanno problemi a ricevere carcerati”. “Dio dice: ‘Io ti amo’, e questo bisogna tradurlo praticamente. Se una persona si sente amata, può cambiare”, spiega. Tante persone guardano al carcere “ma sono poche quelle che si rimboccano le maniche e svolgono un’azione incisiva su un sistema che oggi è immobilizzato”, conclude don Agresti, che evidenzia: “l’istituto educativo in carcere è insufficiente”.

Antonio Rubino

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Fonte: Sir