Sergio de Marchi. Cinque volti “svelati” di Cristo

Sergio De Marchi. L’immagine e le immagini analizza il contesto storico, liturgico e spirituale per cui cinque opere furono realizzate.

Sergio de Marchi. Cinque volti “svelati” di Cristo

Cinque immagini sacre, dipinte in tempi, ambienti e stili diversi, costituiscono l’asse portante del saggio di Sergio De Marchi L’immagine e le immagini. Volti di Cristo da Rublëv a Caravaggio (San Paolo, pp 254, euro 30,00).

Il sacerdote padovano snoda il suo pensiero analizzando il Salvatore di Andrei Rublëv, la Madonna di Montefeltro di Piero della Francesca, la Trinità di El Greco, la Sepoltura e la Cattura di Cristo del Caravaggio. Ogni immagine sacra viene collocata all’interno della «tradizione testuale e degli ambienti liturgici e spirituali per cui è fondato pensare sia stata concepita, prodotta e trasmessa» per riconoscerne gli specifici significati, senza rinunciare a coglierne le forme innovative, anche dirompenti rispetto ai canoni estetici vigenti, dettate dall’originalità del singolo artista. Ciascuna opera è percepita nell’istante in cui diventa “atto di pensiero”, aperto all’interazione con l’osservatore, nella pluralità di interpretazioni che l’oggetto estetico suscita “intrigando” lo sguardo di chi la osserva.

S’inizia con il volto frammentario del grande iconografo russo, eseguito nel 1410-15 e fortunosamente riscoperto negli anni della rivoluzione sovietica, che infonde «negli atteggiamenti e nei volti dei suoi personaggi un’incomparabile espressione di affabilità e di dolcezza, donando loro la capacità di suscitare la sensazione che da quei visi traspaia una vita interiore e che questa sia animata dalla bontà». Una bontà che invita a entrare quali ospiti meglio che graditi, desiderati. La pala di Montefeltro ci porta nella prima “sacra conversazione” che sostituisce il polittico mettendo in stretta relazione le figure che compaiono nel dipinto. Una relazione che converge tutta, dallo sguardo di Maria e Giovanni Evangelista alla mano del Battista, sul Gesù Bambino. L’obiettivo di Piero della Francesca è quello di esprimere la Chiesa vivente, centrata su Cristo, l’agnello di Dio, e non su sé. La Trinità di El Greco porta avanti l’asticella temporale di un secolo, dal 1465 al 1577.

Qui a campeggiare è la “com-passione” del Padre che sorregge il corpo del Figlio, il suo sguardo umanissimo, intensamente partecipe, rivolto a uomini e donne che «avvertono il bisogno di vivere la propria fede secondo modalità più personali e affettivamente intense». Infine, le due opere di Caravaggio, un autore recentemente sottoposto a un “eccesso di esposizione” dovuto alla sua capacità di bloccare sulla tela anche gli aspetti più dimessi e sciatti della realtà, senza abbellimenti. Un atteggiamento che gli creò anche difficoltà da parte dei committenti, ma che pienamente si allinea agli scopi che la prima Controriforma attribuiva all’arte: una forte volontà di coinvolgimento dello spettatore per «gustare interiormente» il mistero della vita di Cristo raffigurato, lasciandosene commuovere e convertire. Un proposito che è evidente anche negli accorgimenti prospettici di Michelangelo Merisi, che getta la scena verso chi la guarda.

Aldilà quindi del trascorrere dei secoli, degli stili e delle personalità pittoriche, Sergio De Marchi individua nelle opere descritte, a campionario quasi di una storia dell’arte sacra, il “tenore umanistico” che accomuna queste immagini nel saper leggere e trasmettere l’identità umana alla luce della profonda trasformazione operata dalla venuta di Cristo.

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